Chi non lavora non fa l’amore?

Ho conosciuto un amico blogger oggi. Grazie della piacevolezza dello stare insieme A.

Dire che potrebbe essere mio figlio sarebbe riduttivo per entrambi, una inutile classificazione. Seduti al sole, un tramezzino e un tea caldo, l’ho ascoltato parlare, spiegare le sue ragioni. Il bisogno di stabilità e dunque di concretezza tenendo d’occhio i ‘sogni’. Già perché oggi desiderare di fare il lavoro per il quale si è studiato e si è tanto investito sembra essere diventato un sogno.

E’ venuto anche a Roma, dopo Torino e Milano, ospite di un amico, per tentare anche qui di consegnare qualche curricula. I moltissimi inviati tutti inevasi.
A causa dei gravi danni economici subiti dalla sua città, Genova, dopo l’ultima disastro la disoccupazione per così dire stabile si è estesa a oltre settemila persone in più che l’alluvione ha messo sulla strada.

Offerte ne ha ricevute, eccome. Raccapriccianti, talmente inverosimili da sembrare prese per i fondelli.
Un lavoro in una agenzia di pubblicità, ‘assunzione’ anche immediata a compenso zero, sei mesi. ‘Ok e poi mi assumete?’ ovviamente dall’altra parte c’è stato un confuso farfugliare esplicativo.
Un ‘noto’ sito internet di recensioni cinematografiche l’ha contattato perché scrivesse per loro su cinema e teatro ma poi ci sarebbero state anche delle trasferte. Retribuite? Ovviamente no.
Lavorare è a tutti gli effetti diventato un lusso.

All’indomani degli scontri a Roma, con le cariche della polizia contro il corteo dei lavoratori delle Acciaierie di Terni, donne e uomini a quel che ho visto dalle immagini abbastanza attempati che rivendicavano il diritto di conoscere la loro sorte -si parla del licenziamento di oltre cinquecento dipendenti il che significa in pratica mettere in ginocchio la città intera – . Bene oltre alle scuse che Maurizio Landini esige vengano fatte ai lavoratori feriti, io suggerirei a tutti i partecipanti al ‘summit’ della Leopolda non già di discutere tra loro sul perché e per come l’Italia sta come sta che tanto questo lo vediamo tutti e tutti avremmo altre ricette certamente meno arzigogolate, ma di sedersi a turno, Premier in testa, al tavolino di un bar con uno dei tantissimi ragazzi senza voce e ascoltassero e incentrassero le loro priorità sui ‘sogni’ di avere un lavoro (altro che choosy) retribuito, un buco di casa che permetta loro di non essere più tacciati da bamboccioni, Magari di avere o non avere una famiglia tutta loro perché, cara ministra Lorenzin, se in Italia la crescita è sotto lo zero non è certo perché ‘sti ragazzi non sanno come si fanno i bambini, non serve pagare un altra commissione che indaghi, conoscono la via! ma non sanno, poi, come e con che certezze fare crescere la prole.

L’amore lo fa eccome il 44% dei giovani disoccupati ma prendendo mille più una precauzione.

Mentre la discussione politica dentro e fuori la maggioranza si incentra sull’articolo 18 e il Jobs Act, dall’Istituto di statistica arrivano nuovi dati allarmanti.
Secondo l’Istat, il tasso di disoccupazione dei 15-24enni ad agosto in Italia è stato del 44,2%, in aumento di un punto percentuale rispetto al mese precedente e di 3,6 punti nei dodici mesi.

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La fotografia è famosissima e rappresenta la pausa di un gruppo di lavoratori per lo più italiani impegnati nella costruzione di un grattacielo a New York nei primi del ‘900. Io la titolerei ‘Tra color che stan sospesi’ perchè fotografa l’oggi italiano oppure ‘Ritorno al passato’?

la giustizia degli uomini

“Sembra di sentirli. Sono i “passi affrettati” di Lhakpa, Aisha, Civita, Juliette, Amina, Teresa e Viollca, sette donne che raccontano esperienze di dolore e discriminazione.”

Inizia così la prefazione del libro ‘Passi Affrettati’, diventato anche pièce teatrale attraverso la quale Dacia Maraini dà voce a donne che, nonostante le distanze geografiche, le differenze culturali e sociali, restano prigioniere di tradizioni culturali arcaiche, di un matrimonio non voluto, di una famiglia violenta, di uno sfruttatore…continuo? in un mondo privo di dialogo e di rispetto.
Un mondo dove ancora oggi, essere donna significa avere paura. Donne senza parola.

“Condannata per aver ucciso l’uomo che voleva stuprarla.” La Repubblica, 25 ottobre 2014.

Paura dello stupro che ha spinto Reyhaneh a uccidere il suo violentatore e che, proprio oggi, dopo essere stata ‘regolarmente’ processata, con stupida arroganza, il suo paese, l’Iran, si è affrettato a giustiziare, la giustizia degli uomini, sì degli uomini, impiccandola.
In un mondo che brucia e si autodistrugge il sacrificio punitivo di una giovane donna di 26 anni lo rende forse migliore?

“Sorry” – “Mi dispiace”
Is all that you can’t say – è tutto quello che non riesci a dire
Years gone by and still – gli anni passano e tuttavia
Words don’t come easily – le parole non vengono fuori facilmente
Like “sorry”, like “sorry”… come “scusa”, come “scusa”…

Una lunga estate

Ero in macchina oggi, lo sono tutti i giorni per una ragione o per l’altra.

Giornata splendida da giugno, luminosa, tiepida e innaturale per un ottobre inoltrato.
Però Grazie! Niente bombe d’acqua e disastri, niente passerelle politiche, visi contriti, come più su a una manciata di poche centinaia di chilometri. Grazie!

Non ero attenta ma improvvisamente mi sono sentita catapultata a quell’estate in Calabria, io sgarzzellina festosa in campeggio con un’amica e lì ho conosciuto un ragazzo del Nord con quell’accento ancor più stretto del mio e con un nome che suonava strano: Ilvo, mai sentito. Era alto e biondo un po’ vichingo ed aveva il fascino del motociclista di Harley-Davidson. Fu amore a prima vista. Quelle cose che deflagrano improvvise io credo solo se hai vent’anni e non ti chiedi niente e o la va o la spacca.

E’ andata.
Anzi io sono andata perché ho lasciato la macchina all’amica ed ho passato dieci giorni in sella alla moto abbracciata stretta al mio vichingo i capelli al vento l’aria che entrava a pieni polmoni mi sentivo invincibile. E lo ero una piccola ragazza invincibile quando ci baciavamo stretti e lui doveva sollevarvi a mezz’aria per arrivare alla mia bocca.

Al lago del Pollino a quasi 2mila metri di altezza, dall’uscio buio di un posto di ristoro filtrava questa canzone. Fabio Concato ha detto il vichingo rivelando il suo cuore romantico.

A Roma ci siamo lasciati. Qualche tenera telefonata poi più niente.

Oggi sull’onda della musica sono tornata indietro nel tempo ed è stato un bel viaggiare, così, ferma al semaforo con un largo sorriso più luminoso del sole che batteva sul parabrezza.

Ci sono momenti che non piove mai.

Colpa delle stelle

«Sono innamorato di te, e non sono il tipo da negare a me stesso il semplice piacere di dire cose vere. Sono innamorato di te, e so che l’amore non è che un grido nel vuoto, e che l’oblio è inevitabile, e che siamo tutti dannati e che verrà un giorno in cui tutti i nostri sforzi saranno ridotti in polvere, e so che il sole inghiottirà l’unica terra che avremo mai, e sono innamorato di te.»
(John Green – Colpa delle stelle)

The Fault In Our Stars sesto romanzo di John Green è anche un film che ha avuto  molto successo  anche in Italia per la regia di Josh Boone, giovane regista e sceneggiatore poco conosciuto.

Hazel e Gus sono due adolescenti che condividono lo stesso spirito caustico, il disprezzo per tutto ciò che è convenzionale e un amore che li travolge. Il loro rapporto è qualcosa di miracoloso, dal momento che l’altro costante compagno di Hazel è una bombola di ossigeno a causa di un cancro ai polmoni  e Gus ha una protesi alla gamba. Amputata nel tentativo (vano) di debellare un tumore. Entrambi molto caustici sugli esiti delle riunioni di un gruppo di supporto per i malati di cancro ma lì si conoscono e s’innamorano.
Per lui è un coup de foudre:

“Cos’altro dire? E’ così bella. Non ti stanchi mai di guardarla. Non ti preoccupi se è più intelligente di te: sai che lo è. E’ divertente senza essere mai cattiva. Io la amo. Sono così fortunato ad amarla, Van Houten. Non posso scegliere di essere ferito in questo modo, vecchio mio, ma hai qualche possibilità di scegliere da chi farti ferire. A me piacciono le mie scelte. Spero che a lei piacciano le sue.”

mentre lei:

“Mi sono innamorata di lui così come ci si addormenta. piano piano e poi profondamente”.
..
Io non sono un tipo particolarmente sentimentale mi piacciono i film un poco ‘cervellotici’, quelli d’azione e le commedie ancor più se sentimentali, non mi attraggono. Ma questo non è un film strappalacrime o banale o irreale perché non ci sono miracoli se non quello dell’amore vissuto come un dono che infonde euforia e coraggio. Se penso a quante persone non vivono l’amore oppure ne vengono appena sfiorate, come ci poniamo?
Meglio vivere una lunga vita senza aver mai amato oppure una breve, brevissima, piena di dolcezza e amore?

“Gus, amore mio, non riesco a dirti quanto ti sono grata per il nostro piccolo infinito….Mi hai regalato un per sempre dentro un numero finito, e di questo ti sono grata.”

le stelle

Dunque un film(o un libro)  sul c.a.n.c.r.o sull’inesorabile devastazione che ancora troppo spesso questo male produce ma non un film (o libro)  di rassegnazione e tanto meno di morte. E’ vita allo stato puro vissuta – prendo a prestito il titolo di un bellissimo film di Jean-Luc Godard Fino all’ultimo respiro, che del resto accomuna sia Gus che Parvulesco nel desiderio di immortalità – :

Patricia
“Qual è la più grande ambizione della sua vita?”
Parvulesco
“Divenire immortale; e poi morire.”

Ecco il mio suggerimento per il fine settimana oppure, se preferite il libro, forse, vi accompagnerà per qualche giorno in più. Ma il genere deve piacere e si deve essere preparati a versare qualche lacrimuccia il che, come diceva mia nonna, lava gli occhi e le rende più luminosi.

Più che un giorno di più

bocca dolce di parole impastata di crema di riso nel tepore anomalo di un pomeriggio soffocante,

“La vita cambia in fretta.
La vita cambia in un istante,
Una sera ti metti a tavola e la vita che conoscevi è finita.”

Così, da un momento all’altro. È quello che è successo a Joan Didion, giornalista, scrittrice e sceneggiatrice. Ecco, “L’anno del pensiero magico” è il 2004, un anno di 366 giorni in cui ogni giorno e ogni momento della giornata sono segnati da un ricordo del passato, di cose fatte, incontri, parole dette. o da un semplice flash di cose che si sarebbero potute fare. Il pensiero inizialmente doloroso, spiazzante ed i ricordi di Joan Didion sono rivolti al marito con il quale ha condiviso 40 di vita ma l’insegnamento da questa lettura potrebbe valere per ognuno di noi.
Questo forse mi ha trasmesso il libro: sapere guardare oltre e assaporare il m(f)iele della vita.

L’anno del pensiero magico.

“Più che un giorno di più” aveva sussurrato, con un’altra espressione del nostro lessico familiare. Il riferimento era alla battuta di un film, Robin e Marion di Richard Lester. “Ti amerò anche più che un giorno di più” dice Audrey Hepburn nella parte di Maid Marian a Sean Connery nella parte di Robin Hood dopo aver bevuto con lui la pozione fatale.

http://youtu.be/mZnRe6e20xE    deep blue day –  brian eno

In dolce attesa

 

Tutta la settimana passata è stata, per me, una settimana NO.

Il cambiamento repentino,  un fulmine a ciel non troppo sereno è arrivato da chi dicevo io e come se Mago Merlino ci avesse messo lo zampino, però riguarda la mia sfera personale e un po’ per pudore e un po’ per rispetto nei vostri confronti, lo dico alla francese che comunque suona diverso :  ‘glissons’.

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Marc Chagall – La passeggiata

Poi è successo un altro fatto stra-bi-lian-te e pur immaginando la vostra ‘sana’ invidia ve lo consegno.

A cena da mio fratello, quello grande,  raccontavo che domenica ero stata accompagnata in moto (per evitare lo strazio del cercare parcheggio)  da mio figlio a vedere-comperare uno smartissimo che seguivo  da tempo e che era in super offerta al 40% in meno, lo  dico sottovoce 299 euro. Cifre che cadono come birilli e di cui nn vi è mai certezza. Naturalmente manco uno ne era rimasto.

Ora dovete sapere che a me mi potete parlare di gioielli ed io arriccio il naso.  Mi piace l’argento.  Le collane di pietre dure e  gli orecchini  che lavati i denti sono il mio primo pensiero: Marilyn nuda con 3 gocce di Chanell n. 5 ed io con un paio di inseparabili orecchini.  Però sto divagando.

Negli ultimi anni mi sono sempre più appassionata alla telefonia mobile il mio primissimo Panasonic minuscolo e a conchiglia  dorme impacchetta e perfettamente funzionante nel cassetto insieme a tutti i suoi successori via via  più potenti e più grandi. Divenuti multitasking per adeguarsi alle varie funzionalità se prima ‘piccolo è bello’ adesso è tutto l’opposto. Personalmente non sopporto  iphone perchè ha il sistema operativo ios e perchè vive nella sua riserva con i suoi accessori e le sue app come una principessa nella torre. Mi scusassero i possessori. Ho apprezzato molto in Nokia ma prima che installasse Windows, e quindi sono passata alla Samsung con molto gusto sono arrivata al Samsung IV. Bello schermo 4.8  velocissimo col WiFi e anche fuori la rete si prende bene. Però, ecco il punto, dall’anno scorso guardavo amorosamente all’ LG Electronics che è di una società coreana che dal 2007 produce in tantem con la svedese Phillips televisori ad alta definizione,  il 3D è un loro brevetto,  per esempio.

Il mio oggetto del desiderio è il nuovissimo Lg 3 con uno schermo di 5.5 secondo me il massimo che va a sostituire anche il tablet. Foto a una risoluzione pazzesca, 13 mpx,  fantastiche che io posto su Flickr da anni.  Insomma mio fratello che non ci capisce niente di telefonia ed è stato da subito un estimatore del mio Samsung mentre cenavamo quatto quatto, ovvero tra la confusione di una cena in famiglia,  ticchettava sul suo tablet e alla fine mi ha detto

“FATTO, il telefono ti arriva tra tre giorni lavorativi,  tu mi dai il tuo Samsung! Questo è il mio regalo di Natale e così …  tu sei sistemata!

Accidenti! Ieri che giornata! Adesso sono in dolce attesa e vi saprò dire.

Voi? che rapporto avete e quanto vi interessa questo mio  m(v)ezzo?

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LG3,  la mia dolce attesa

 

e adesso spogliati

Donatien-Alphonse-François de Sade Scrittore, Filosofo, Aristocratico e Politico Rivoluzionario francese (Parigi 1740 – Charenton-Saint-Maurice 1814)

“Una virtù non è altro che un vizio che s’innalza invece di abbassarsi; e una qualità è un difetto che ha saputo rendersi utile.”

’ Fondamentale tema dell’opera di Sade è la totale-universale inversione ragionativa, per cui tutto ciò che comunemente si crede bene – per la maggioranza dell’umanità – diventa male e viceversa: così l’orrido e mostruoso diviene meraviglioso, la bruttezza affascinante, gli escrementi cibo, la vita morte, il piacere dolore infinito.
La perversione sadiana è intimamente felice e soddisfatta della propria devianza.’

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Sa qui il sadismo, termine coniato, nel 1869, dallo psichiatra R. von Krafft-Ebing,
in cui il piacere è ottenuto mediante la sofferenza causata ad altri. Secondo la psicoanalisi il sadismo si può presentare anche in forme più larvate largamente presenti nella comune vita pulsionale come una perversione sessuale nella quale il soggetto trae godimento erotico dalla sofferenza che infligge ad altri, oppure un aspetto del carattere proprio di chi si compiace della crudeltà.

“Sì, sono un libertino, lo riconosco: ho concepito tutto ciò che si può concepire in questo ambito, ma non ho certamente fatto tutto ciò che ho concepito e non lo farò certamente mai. Sono un libertino, ma non sono un criminale né un assassino.”

Perversione indica un mutamento in senso ritenuto deteriore, patologico, di un processo psichico, di un sentimento, di un comportamento, di una tendenza istintiva. Nell’ambito sessuale il termine, usato specialmente in passato, è riferito a sindromi psicopatiche, caratterizzate da deviazioni dal comportamento sessuale considerato normale, per cui l’istinto sessuale viene rivolto verso un oggetto anomalo o trova soddisfacimento con pratiche erotiche diverse dal comune amplesso

intimo

Pubblicità di una nota casa di intimo…fate voi. Comunque tutto bene, solo forse un po’ scomodo per tutti i giorni, per prendere la metro, un bus al volo, o fare pipi nel cubicolo di un aereo.
Però, chissà, per un sabato sera fantasioso quasi quasi chi non ci farebbe un pensierino-sì?

collarinoME!

 

Utilizzando il quotidiano vestitino di Sally, anch’io mi sento in qualche modo à la page.

 

Orange il colore vivo dell’autunno (in TV)

L’ Arancione è simbolo di armonia interiore, di creatività artistica e sessuale, di fiducia in se stessi e negli altri
L’ Arancione simboleggia la comprensione, la saggezza, l’equilibrio e l’ambizione.
L’ Arancione libera da sintomi depressivi aumentando la capacità di reagire alle avversità della vita in modo repentino ed efficace.
L’ Arancione stimola la circolazione del sangue e da vitalità agli organi sessuali, sia maschili che femminili, favorendo la fecondità.
L’ Arancione è il colore delle divise delle detenute nei carceri americani.

Un cast quasi totalmente al femminile con una varietà di personaggi in bilico tra passato, presente e futuro, tra errori per cui stanno scontando una pena e la volontà o meno di cercare di redimersi e migliorare, il tutto collegato attraverso sapienti flashback che alleggeriscono l’atmosfera che altrimenti risulterebbe troppo cupa e violenta.

Dialoghi incalzanti, geniali battute irriverenti e richiami all’attualità.

Si parla di mafia russa, razzismo, fanatismo religioso e omosessualità. Moltissime le scene a sfondo sessuale decisamente esplicite e, a mio avviso, niente affatto volgari.
Non manca l’amore nelle sue ossessioni e nella sua tenerezza, l’amore come antidoto alla solitudine.
Orange is the new black è una delle serie con più scene saffiche che siano andate in onda ma al di là di questo a rendere la serie unica nel suo genere è la capacità di raccontare le donne senza filtri, crudamente, andando oltre gli stereotipi del carcere e mostrando ancora una volta, se ce ne fosse bisogno, quanto su questa istituzione ruotino grossi interessi economici e politici e quanto poco, invece, sia adatta al recupero delle sue ‘ospiti’.
Sole ma unite in un mondo maschilista, dove tuttavia i maschi sono trattati impietosamente, le protagoniste di Orange  ci regalando grandi emozioni.

Orange Is the New Black: My Year in a Women’s Prison” di Piper Kerman è il romanzo autobiografico diventato fortunatissima serie tv di Netflix (House of cards) che ha scioccato e diviso l’opinione pubblica in America e nel mondo.

Ho letto che in Italia il canale Mya sta trasmettendo la prima serie. Guardatela, cercatela in rete e soprattutto se ne avete la possibilità – fidatevi – gustatevi anche tutta la seconda serie perché dal primo all’ultimo episodio sono ancora più coinvolgenti.

E ora musica

Don’t give up

mai di domenica.
Scelgo giorni improbabili e sempre all’ora di pranzo perché a Roma, per chi non lavora il pranzo resta un rito e chi lavora scappa e fugge.

Sono andata a Ikea. Non sono una patita né di Ikea né tantomeno di quel formicaio brulicante di formiche rosse fameliche pronte a mordere sia quel che sia purchè con il massimo sconto

Nella strada obbligata per l’uscita mi sono fermata dubbiosa davanti al menù della tavola calda quando mi sento interpellare da un signore vestito in modo ‘dignitoso’ molto avanti con gli anni che sorridendo mi chiede se può invitarmi a mangiare qualcosa con lui.

Ci sono circostanze nelle quali mi è difficile svicolare e nello stesso tempo l’istinto non si mette in allerta. Dunque non alzo il mento e non assumo l’atteggiamento che sottende ‘Ma chi t’ha cercato’ detto alla romana.
Guardo dinuovo questo signore e gentilmente, ma in modo incerto, gli dico che non avevo intenzione di fermarmi e che preferivo andare a casa direttamente. Eppure non mi sembrava neppure che lui stesse chiedendomi implicitamente che fossi io a offrire…

E’ bastata la mia esitazione perché lui mi spiazzasse dicendomi che era chiaro che sarei stata sua ospite e comunque gli avrei fatto un ‘regalo’ ‘prezioso’ accettando perché era stanco di cercare in quella bolgia l’antidoto alla sua solitudine che si risolveva sempre con un pasto alla tavola calda.

Vada per un’insalata. In mezz’ora ho avuto tante ragioni per vergognarmi.Allo staff politico al completo e senza fanfare farebbe bene andare e sentire conretamente la mille realtà, la quotidianità di solitudine e ‘soglia di povertà’ in cui cadono troppe persone. Ma son tutti nati ricchi e si sono scordati, vergognadosi, delle loro origini neppure troppo lontane?
Un ex insegnate di scuole medie, 85 anni portati molto bene, sua moglie che poi era tutta la sua famiglia morta l’anno scorso.
Il professore passa le giornate tra libri e ricordi e come terapia si costringe ad andare tra la gente convinto che questo sia anche un modo per non isolarsi troppo. Pranza solo ma oggi era l’anniversario della morte della moglie ed io gli ero parsa una ‘signora davvero perbene’.

Ha pagato assolutamente lui il conto. Ci siamo abbracciati senza scambiarci i numeri di telefono.
Ho pranzato con uno sconosciuto. Tutto è finito com’era iniziato nella falsa illusione di un luogo non luogo.

Forse ho fatto male. Doveva finire diversamente?
Voi cosa avreste fatto?