Spigolando qua e laggiu'

 

 

 

sposafosforescente

 

 

Sentivamo l’altra sera, insieme, una versione ‘ri-pulita’ dell’ Orfeo e Euridice di Hyden.

Buio completo intorno, l’aria della sera, oltre la musica il silenzio dei grilli.

Così semplice il messaggio iniziale, e tragico.

Orfeo scende agli inferi a riprendersi la sua Euridice ma nell’irragionevolezza dell’amore trasgredisce al patto e si volta e,  voltandosi,  sancisce la morte definitiva della sua sposa.

Ma io sono quella che – poi – pensa in ritardo e da sola  ho ‘rispolverato (quasi a sostenerle cupaMENTE)  altre valide  interpretazioni.

Cocteau nel suo Orphée lascia intendere che è  proprio lo stesso Orfeo che capovolge l’originaria  immagine romantica di sé, liberandosi  di Euridice due volte, la prima per distrazione, e la seconda lucidamente  cioè voltando volutamente il capo  indietro.E poi ancora Pavese, e Bufalino che nel suo racconto fa avere a Euridice come una disperata folgorazione: "Orfeo si è girato apposta".Dunque io dove vado a parare nel pessimismo cosmico che mi prende a volte?

Mi interrogo ancora su cosa ci sia oltre/dietro l’apparente, lineare, messaggio che tanti eventi scatenano.

L’amore, soprattutto, nella sua concreta e vitale incoscenza, come puo’ sottostare a un qualsiasi patto? E se, sibillinamente, l’amore all’apice stesso della sua realizzazione si contraddice (ci guarda in volto volutaMENTE e ci perde), a noi cosa resta se non subirlo o meglio – detto meno crudamente – concederci di viverlo senza domande nel suo aggrovigliata, aleatorio "per sempre"?

Pausa di sospensione (scusate le spalle)

 

 

in penombra

 

 

Mi piaci quando taci perché sei come assente,
e mi ascolti da lungi e la mia voce non ti tocca.
Sembra che gli occhi ti sian volati via
e che un bacio ti abbia chiuso la bocca.

Poiché tutte le cose son piene della mia anima

emergi dalle cose, piene dell’anima mia.
Farfalla di sogno, rassomigli alla mia anima,
e rassomigli alla parola malinconia.

Mi piaci quando taci e sei come distante.
E stai come lamentandoti, farfalla turbante.
E mi ascolti da lungi, e la mia voce non ti raggiunge:
lascia che io taccia col tuo silenzio.

Lascia che ti parli pure col tuo silenzio
chiaro come una lampada, semplice come un anello.
Sei come la notte, silenziosa e costellata.
Il tuo silenzio è di stella, così lontano e semplice.

Mi piaci quando taci perché sei come assente.
Distante e dolorosa come se fossi morta.
Allora una parola, un sorriso bastano.
E son felice, felice che non sia così.

"Strange fruit" – Solo una canzone?

 

11 settembre 2007

1939. Abel Meeropol  scrisse con Billie Holyday  "Strange Fruit" seduti al  tavolino di un bar  “con ancora negli occhi la fotografia del linciaggio di due neri delle piantagioni del Sud’.

Una sera, il  giornalista Harry Levin  ascoltando  Billie Holyday cantarla, si senti improvvisamente accomunato a un generale, forte e nello stesso tempo confuso,  sentimento di impotenza dolorosa che aleggiava nella sala  e addebitò questo stato d’animo al momento storico che l’America stava vivendo: "Noi eravamo li, storditi ed incapaci di muoverci. Lei ci mise in contatto fisico con quella canzone. Nel mezzo della Seconda Guerra Mondiale, mentre stavamo combattendo per riportare la libertà (e la ‘democrazia’ aggiungeremmo oggi),  Billie ci stava dicendo che c’erano alcune cose incompiute con le quali l’America doveva confrontarsi."

Già…e in quelle ‘cose incompiute’ non maturavano  – forse – i germi dell’ 11 settembre 2001?

Nell’euforia dei primi mesi del nuovo millennio,  stilando una  graduatoria sulla più bella e significativa canzone del novecento,  il Time identificava in  Strange fruit di Billie Holiday  il “monumento musicale”  del secolo discostandosi nettamente  dall’opinione pubblica che aveva, invece, optato per Imagine di John  Lennon.

Io sono per “Strage fruit” e con il Time  stupita dalla feroce attualità di quelle strofe: Gli alberi del Sud danno uno strano frutto, /Sangue sulle foglie e sangue alle radici, /Neri corpi impiccati oscillano alla brezza del Sud, /Uno strano frutto pende dai pioppi/…..Profumo di magnolie, dolce e fresco, /Poi improvviso l’odore di carne bruciata…”

11 settembre 2007.

E guerra sia! 

Tra deodoranti al profumo di magnolia a coprire il lezzo di sempre nuovi  corpi martoriati per buona pace delle ricche democrazie e dei potenti della terra.

(La versione della canzone che vi propongo è di Nina Simone, una grande artista che l’ha cantata con altrettanta passione).

 

Anoressia…brutta bestia

 

Pantera? si...

 

 

“Linguine al pesto con gamberetti”

 

 

ingredienti per 4pp (da moltiplicare all’infinito)

300 gr. di ‘linguine’ * un vasetto di pesto * 400gr di gamberetti freschi * 1 o 2  cucchiai di panna fresca (a chi piace) * 4 cucchiai di olio (quello buono)  * foglie di basilico a piacere.

1)  Passare i gamberetti in acqua corrente  e metteteli a rosolare a fuoco vivace per 3 o 4 minuti in una padella con l’olio e il basilico sminuzzato, un pizzico di sale e di pepe (volendo una spruzzatina di vino).

2)  Versate nel piatto da portata il pesto, 2 cucchiai di acqua di cottura (la panna) e amalgamare bene.

3)  Fate cuocere le linguine il tempo che credete (io mangio la pasta molto ‘al dente’ quasi cruda..) in una pentola con molta acqua e il sale.

4)  Scolate e versate  nel piatto di portata,  mescolare bene e guarnite con i gamberetti (non senza averne rubato di nascosto uno o due!)

 

Mmmm  :=))  davvero una squisitezza al sapore  d’ estate di un freddo settembre.

 

Insomma, belle, flessuose,grrr.. fisico bestiale ma…”in carne” o no?

Per un delicato intervento sull’anoressia, VI suggerisco di passare sul blog di:

http://stazionetermini.splinder.com/

“…al di là della vetrina del bar Moka al binario 24 accadde un piccolo miracolo ….”

Aurora  era pronta fin dalla sera precedente. ….”

 

"tempi circolari" e "tempi lineari"

 

 

Eccoci di nuovo pronti  a rincorrerci, a inseguire il tempo. Prima fermata a novembre.

Improvvisamente fresco, temperatura accettabile, affrancati da una estate calda, calda, anzi caldissima.

 Favoleggiamo, anno dopo anno, su quanto ‘questa’ sia l’estate più torrida di sempre.

Ma, almeno  per me, la spossatezza, il dolce far niente, sdraiata al sole o in penombra,  permette  di spulciare i giornali nelle minime cose.

Un elzeviro di Beniamino Placido mi ha dato da riflettere oggi – di nuovo – in motorino.

Beniamino analizzava il caldo torrido che ci ha colpiti richiamandosi ad un articolo di Michele Serra ( l’effetto serra non c’entra) del …secolo scorso, addirittura del 1988.

Si riagganciava al dibattito su “tempo circolare” e  “tempo lineare” e – soprattutto – sulla  perdita di valore  della circolarità del tempo che esisteva ( oggi, ormai incompiutamente anche in natura) e dava spazio alle stagioni, ai suoi rigori, ai suoi eccessi di calore, alle sue pause.

Soprattutto con l’avvento dell’industrializzazione, delle fabbriche, il tempo è diventato prevalentemente lineare. Si produce alla catena di montaggio giorno e notte, senza tempo.

Non  serve la circolarità, far respirare la terra con l’aratura, seminare, curare, per ‘raccogliere’ migliaia di..pentolini, caffettiere e via discorrendo Per una progettualità a tavolino basta un tetto sulla testa.

Il tempo sfugge e ci sfugge in progressione, va avanti dritto e veloce imponendoci i suoi ritmi pressanti che sono i tempi e le stazioni di un buon treno in orario: non aspetta!

E dai telegiornali di questi giorni – megafono di vituperati giornaletti blasonati da tanti ‘Corona’ –

dei servizi sulla mostra del cinema di Venezia mi è rimasta la triste visione di molte attrici (e attori) dal volto statico, fissato,  in una eterna martoriata primavera.

Come se  dalla ‘età dell’innocenza’ la vita si biforcasse: eterne primavere o Rupe Tarpea ove l’uno sull’altro, confusi, i corpi non già dei neonati deformi ma di quei pochi arroganti che sfidando le regole hanno seguit il tempo circolare della loro stagione: i vecchi.

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