Un urlo di dolore, sempre quello

MA CHE CAZZO|
Ma lasciatemelo questo improperio che ho urlato e ripeto e ripeto sentendo la notizia alla radio.

MA CHE CAZZO!
“Sedicenne accoltellata e bruciata.
il fidanzato confessa l’omicidio: ero GELOSO  e l’ho BRUCIATA VIVA”

MA CHE CAZZO!
“Il minore, io direi meglio minorato, avrebbe confessato di avere accoltellato la fidanzatina al termine di una lite nata per il “rapporto travagliato” che esisteva tra loro.
Un rapporto ripreso da poco e caratterizzato da gelosie reciproche.”

MA CHE CAZZO!
Basta un ‘rapporto travagliato’ perchè un sedicenne accoltelli la sua giovane compagna – che fidanzatINA e fidanzatINA! – una piccola donna che cominciava a sperimentare la vita, l’amore e si ritrova morta ammazzata e bruciata?

MA CHE CAZZO!
cosa ci si può aspettare da una cultura consumistica che butta in pasto il corpo della donna,
intero, sezionato, oggettivato al piacere quale che sia il prodotto? Il gelato lambito da labbra rosse fuoco, l’automobile magico tappeto volante di conquista, il liquore color del sangue tra le unghie di due maliarde.
Donna, lei stessa diventata merce che, mal funzionante, passata di moda, si sopprime?

MA CHE CAZZO!
Guardi un film e immancabile, perla di qualsiasi trama, il corpo nudo di una donna, simil Barbi, che si fa ‘sbattere’ tra mugolii imbarazzanti che riempiono la sala, o ‘cavalca’ valkiria rifatta, chiappe in primo piano, ammiccando allo spettatore maschio che poi è quello stesso che a buon conto commenta le gesta di potenza virile, veicolata dal denaro, di un vecchio satrapo con un “Buon per lui” e..lo vota.

MA CHE CAZZO!
Eppure non è questo che con la pratica e l’esempio quotidiano io ho trasmesso a mio figlio, unico figlio maschio. Io, madre divorziata e donna inquieta e libera,  ho voluto spiegargli ben chiaro che il rapporto d’amore è qualcosa di magico, di imprevedibile, che a volte dura l’arco di una vita ma a volte, spesso, non funziona al primo incontro. L’amore può dolorosamente finire, e ci fa soffrire da urlare, ci sembra crudele ma deve rimane qualcosa che dobbiamo risolvere dentro di noi, lavorando su di noi e questo non può, non deve avvenire attraverso l’annientamento dell’altra/o.

MA CHE CAZZO!
L’amore è un sentimento che vola alto, impalpabile e la persona – per-so-na – che ce lo ispira, che ce na fa dono deve rimanere altro da noi. Perché se non si è liberi entrambi l’amore non è amore ma solo sopraffazione malata.

MA CHE CAZZO!
(e forse quest’ultima imprecazione volgare me la potevo censurare)

..e che Munch sia con noi e che l’Urlo deflagri nelle coscienze.

spare parts (ricambi)

Angelina Jolie, e non una Pinco pallina qualsiasi,  ha rivelato di essersi sottoposta ad una doppia mastectomia per scongiurare il pericolo di ammalarsi di tumore al seno. Una decisione motivata soprattutto dal fatto di essere portatrice di un gene che l’avrebbe (tempo condizionale, sia chiaro) predisposta alla malattia.
L’attrice non è la prima ad avere compiuto un atto tanto clamoroso che ha portato alla ribalta, mai termine si adatta meglio trattandosi di un’attrice, un trend sempre più diffuso negli Stati Uniti di cui si è parlato sempre relativamente poco anche se a gennaio un’aspirante Miss America, ragazza giovanissima e bellissima, dichiarò di essere pronta a togliersi i seni per evitare un giorno di contrarre il cancro che ha colpito costantemente la sua famiglia.
Naturalmente e giustamente si è aperto un dibattito molto acceso nel mondo scientifico e non sull’importanza dei test genetici e della prevenzione nella lotta a una malattia che colpisce sempre più donne ma che, mi permetto di aggiungere, oggi, può essere monitorata con i controlli preventivi e dunque con cure immediate e mirate.
Mia madre ha avuto, come moltissime altre donne, un tumore al seno abbastanza ‘maligno’ e tuttavia dopo averlo debelltato ha vissuto per molti altri anni con una ‘semplice’ ricostruzione del seno parzialmente asportato..
Si dice che ora la Jolie voglia intervenire anche sul suo apparato riproduttivo, zac, via tutto.
Ovviamente, ma poi non è per me troppo ovvio, meglio prevenire che morire ma se per non morire ci si deve amputare pezzo dopo pezzo per diventare un assemblaggio di parti di ricambio, a me sorgono dei dubbi.

Ricordo, e farò un collegamento che potrebbe sembrare azzardato, la nostra vetrinaria l’anno scorso mi disse che avremo dovuto procedere alla sterilizzazione di Sally (la nostra cagnola) ed io le dissi di essere contraria a quel tipo di gratuita mutilazione ma lei mi sottolineò che, al contrario, l’intervento serviva soprattutto a prevenire l’insorgenza di tumori agli organi riproduttivi.

Domenica sbadatamente mi si è impigliata l’unghia dell’alluce alla grata della finestra – ero a piedi nudi – ha cominciato a sanguinare e oggi la parte è gonfia e violacea. E se dovesse insorgere una brutta infezione ed andare in cancrena prima il dito e poi il piede? Non sarà il caso di prevedere un’amputazione preventiva quantomeno del dito?
Stiamo davvero conquistando un’immortalità fasulla? e allora con due seni sterili, non più donne, l’anca in titanio, il cuore di un morto ammazzato, chi saremo diventate?

Assemblaggio di spare sparts

ps. un argomento molto serio che ho trattato superficialmente ma che chiama in causa eugenetica e bioetica e la loro ‘lecita’ applicazione.
E vi segnalo una bellss serie americana THE BIG C, la sostenibile leggerezza della malattia, che tratta in modo dissacrante, fatuo e nello stesso tempo profondo i vari passaggi di una giovane donna che condivide il lungo percorso della malattia – non privo di speranza – all’interno della propria famiglia. Amarsi ed essere amati, credo. Condivisione e reciproca generosità.

ieri oggi e (del doman non v’è certezza)

’Non c’è nessun paese della terra in cui l’amore non abbia reso gli amanti poeti’. Voltaire

Ho nostalgia delle mie prime lettere d’amore. Quelle che mi facevano tornare dal liceo col cuore in gola, quelle buste, tutte ‘espresso’ che arrivavano da Milano e solo guardarle mi facevano quasi svenire così sgualcite dal passaggio di troppe mani. Ansiosamente ne valutavo la consistenza, due? tre pagine?
La voce inesorabile di mia nonna che mi sollecitava per il pranzo.

Ho nostalgia del batticuore nel tornare in camera, leggerle e rileggerle, scrivere di getto altre parole d’amore nascondendole sotto la versione di greco.

Ho nostalgia del languore che mi prendeva nel letto, al buio, quando finalmente la casa diventava silenziosa e le ore si dilatavano su dettagli di baci lontani una settimana.

Ho nostalgia delle mie l ettere d’amore, poetiche dichiarazioni, lamenti,  richieste pressanti di conferme  che rendevano insopportabile l’assenza e nello stesso tempo dolce il pensiero di un nuovo incontro.

Pochi anni più tardi le parole dell’amore  si sono affidate  e logorate  in impalpabili velocissime,  spezzettate ,  comunicazioni velocissime  consumate in fretta e già subito altre.

Davvero mai come oggi i dardi di Cupido partono e attraversano l’etere deflagrano come bombe e l’assenza si frantuma in tante piccole schegge  dorose e così proprio come facevo tanti anni fa con la mia lettera, l’ultima, che mettevo sotto il cuscino, mi addormento leggendoti – freddo concentrato di nitidi caratteri – fino a quando il display non si oscura.

E nel sonno torniamo a scriverci senza contrazioni e a mandarci i mille baci per esteso senza quelle stupide, imperative costrizioni: “xxx”.

“…..Dammi mille baci, poi cento
poi altri mille, poi ancora cento
poi altri mille, poi cento ancora.
Quindi, quando saremo stanchi di contarli,
continueremo a baciarci senza pensarci….”  (Catullo)

Il ‘tuca tuca’ ovvero l’età dell’innocenza

“Ruby, le feste e il Cavaliere”.
la Repubblica.it, 28 ottobre2010 – ore 12.

Questo titolone che campeggiava oggi sui giornali, ha ricordato, inopinatamente, i volumi storici di George Duby, esimio professore di storia del Medioevo, che ha scritto molti libri tra cui, appunto, “Il cavaliere, la donna e il prete” o, ancora, “Medioevo maschio”, per le edizioni Laterza, ed ho pensato che siamo davvero in un Medioevo maschio/basso, bassissimo e dunque sorridiamo! è vicino il Rinascimento.

Per quel che riguarda la ‘nipote di Mubarak’ la Rubi rubacuori, minorenne entrata nel tritacarne presidenziale e a gamba tesa nella nuova pratica del ‘bunga bunga’ che il solerte cavaliere apprese nello scambio approfondito di incontri al leader libico Gheddafi (e il buon Dio ci scampi e liberi da chissà quanti e quali altri divertissements potrebbero disvelarci le molte visite nelle dacie del compagno di pesca Putin) a me quanto leggo e sento già basta, vorrei chiarezza sulla legittimità di certi comportamenti da parte, non dell’uomo Cavalier Berlusconi, ma del Presidente del Consiglio italiano.

Chi di dovere approfondirà, ci sarà un processo, se questa fanciulla ha detto il vero (pare proprio che cmq almeno tre ‘visite’ ad Arcore ci siano state, ci sono i gioiellini stemmati e la certezza di qualche spicciolo elargito ‘pietosamente’) ed i nomi delle altre partecipanti a queste ‘cene eleganti’ nella residenza del nostro Presidente con consiglio, sono talmente tante che basterebbero semplici confronti incrociati per arrivare anche solo a una parte della vera verità e dare aria ad un’Italia avvilita.
Quello che a me preme più di ogni altra cosa, più ancora della ulteriore perdita di dignità e del fango che continuerà a insozzare il nostro Paese e noi, è la domanda priva di retorici moralismi, strettamente politica, con cui chiudeva l’articolo de La Repubblica:
“È responsabile esporre il Presidente del Consiglio italiano in situazioni così vulnerabili e pericolose per la sicurezza dell’istituzione che rappresenta?”

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martedì 14 maggio 2013

A distanza di oltre due anni e mezzo, giunti alla sentenza, ribolle rinvigorito l’odio di Berlusconi e del Pdl con l’anomalia che noi della sinistra (sinistra?) con questo individuo e il suo partito che abbiamo demonizzato da sempre oggi condividiamo il governo di un’Italia stremata.
E qui mi fermo perchè la situazione delle persone in sempre maggiore sofferenza non è un dato Istat ma quotidianità dolorosa.

Quando potremo voltare pagina?

Adotta un maiale

Oh ma come siamo diventati sensibili e deboli difronte alla sofferenza. E come ci piace edulcorare le parole, dar loro una veste che rimandi ad altro ma sempre quello.
Per esempio lo spazzino e diventato ‘operatore ecologico’ peccato sia sempre il solito ‘scaciato’ che maneggia rifiuti senza guanti né mascherina di protezione.
Le persone con handicap, grave o piccolo che sia, pudicamente diventano  ‘diversamente abili’ ma allora dovremmo però anche capirci sul significato di abile cosi come di normodotato.
La verità è che i diversamente abili così come gli ‘anziani’ (che io continuo a chiamare vecchi con un profondo senso di amore e rispetto) vivono pressocchè misconosciuti dalla società nei loro ghetti profumati di belle parole.

Ma i buoni oltre ad essere così snesibili alle parole sono anche generosi e pietosi e non smettono mai di (pre)occuparsi persino dei nostri amici a quattro zampe e dunque ovunque imperversano i manifesti con le immagini più pietose e su tutte campeggia la scritta

“ADOTTA UN BAMBINO” oppure “ADOTTA UN CUCCIOLO”
o recentemente “ADOTTA UN MONUMENTO” o un parco o.. o..

Ancora fino a qualche anno fa, nella mia Torino, prima dell’avvento del salutistico Petrini pensiero, e del suo consumo a ‘chilometri zero’ , a casa mia già si prenotava al contadino della zona la verdura di stagione, il pollo, le uova e il coniglio che arrivavano puntuali ogni sabato mattina. Poi c’era anche il maiale, sì, quel maiale che cresceva, curato e ingrassato, con il nostro contributo in momenta sonante, e di cui a dicembre ci veniva riservata la metà in braciolette, salsicce e quant’altro, perché si sa che del maiale non si butta nulla.

L’altro giorno sul mio giornale ho letto questo nuovo agghiacciante annuncio:

ADOTTA UN MAIALE

(Ma che ne pensa il povero maiale di queste adozioni a scadenza? E che fine è destinata ai bambini? E i cuccioli? Mi è preso il panico pensando a ‘1984’ di Orwel.)

LunaPark

Ho letto che forse il Comune di Roma prenderà in considerazione la possibilità di riaprire il Luna Park dell’Eur.

Questa notizia ha dischiuso la porta a bellissimi ricordi legati ai primi anni di vita di mio figlio quando andare al Luna Park era per noi due un po’ come concedersi l’ingresso al ‘tutto è possibile’ in quel paradiso magico e multicolore nel quale entravamo mano nella manina il cono di zucchero filato nell’altra le tasche riempite di noccioline ingurgitate avidamente il cui sapore risaliva intatto dallo stomaco ad ogni scontro sulle macchinine elettriche.

Le montagne russe disegnate a coda di serpente che catapultavano verso il basso piccoli vagoni agganciati da dcui spuntavano ovali confusi, i capelli come criniere di cavalli al galoppo, risate stridule di gasbbiani impazziti e grida isteriche che superavano lo sferragliare rumorosissimo sulle rotaie.

Il nostro primo pesce Bollo fù uno dei trofei vinti lanciando un numero inverosimile di palline in quei piccoli contenitori di vetro messi in circolo l’uno accanto all’altro, i bordi alti e stretti, difficili da centrare.

E finalmente la grande, imponente, Ruota che al crepuscolo veniva illuminata e si stagliava netta nel cielo dell’imbrunire. Era l’ultima più fantastica tappa prima del ritorno a casa.
Chiusi nel nostro piccolo divanetto plastificato, ben legati, salivamo verso l’alto prendendo gradualmente le distanze dalla piattaforma e giunti a turno all’apice per qualche secondo la ruota si fermava e da lassù dominavamo il Luna Park, tutto il quartiere dell’Eur, seguivamo la coda di automobiline dai fari che si accendevano, ma soprattutto provavamo quel brivido di onnipotenza che forse arriva con la sensazione di toccare il cielo e nello stesso tempo, le mani strettamente intrecciate, guardare in basso le formichine che camminano in un disegno senza senso. E’ così insito in noi il desiderio di innalzarci a misura divina che non vi è luogo, città. che non abbia la sua ‘torre più alta’ e che questa non sia meta di pellegrinaggi e di foto ricordo. E quando questa sete è domata i più spericolati scalano le vette, si librano in volo come Icari e come Icari spesso si schiantano.

Ma la Ruota del Luna Park non è altro che un gioco, una grande prova per piccoli uomini e le loro mamme che accantonata la routine quotidiana ridono stringendo una manina di piuma, contagiate dall’innocenza del cielo che scurisce forse con qualche stella.

 

my sweetest killer

Ebbene sì, ho cresciuto un killer nella mia casa e l’ho nutrito del mio amore.
E’ il fulcro dei nostri pensieri, quelli miei e di mio figlio. Siamo persino riusciti ad utilizzare per lui il linguaggio lezioso di certi genitori rincretiniti di fronte alle mirabilie dei loro pargoli.
Nessuno tra i suoi simili, e spesso tra gli umanoidi, ne eguaglia l’intelligenza, la furbizia e quella giusta dose di ‘mignotteria’ affettuosa che ti scioglie e le concedi una passeggiata anche se ti pulsano forte le tempie e sai di avere la febbre.

Il mio killer parecchi di voi lo conosco, non ancora come killer ma come dolce cagnola di jack russel che conteneva il suo dna di cane da ‘tana’ dunque veloce e feroce nello stanare e uccidere senza sbranare dai tassi alle volpi ai….topi.

Ieri sera me ne stavo paciosa, un po’ inebetita dal cibo e dalle libagioni fuori programma ma perfettamente in sintonia con la compagnia che ogni primo maggio da anni si raduna a casa mia per fave e pecorino e molto altro.

Segiovo e non seguivo un melensissimo quanto insignificante film con Antonio Banderas improbabile filantropo quando nell’arco di cinque, secondi, forse anche tre e mezzo, la poltroncina di vimini dove il killer, ignaro e spossato dai troppi giochi e dalle troppe attenzioni, dormiva esausto viene spinta di forza ruotando su se stessa da un balzo a terra, due forti crolloni di testa a ai miei piedi si materializza un topo morto stecchito le quattro zampette rosee all’aria appiattito al pavimento.
Il mio brivido di orrore ed il mio urlo sono stati altrettanto immediati.
A meno di cinque secondi per assolvere al  ‘compito’ della Sallyina hanno corrisposto  due ore di panico mio e di mio figlio sul chi avrebbe avuto più coraggio e meno ‘schifo’ a raccogliere , e come?, la carcassa che aveva le non indifferenti misure du una grossa cavia. Un topo di fogna di cui Roma, come tutte le grandi città, è infestata. La messa in opera della linea B della metrolitana ha certamente sfrattato grandi colonie di topi ora allo sbado.
Alla fine io, ho provveduto con lo scopettone a spingere l’intruso nel raccogli mondezza del giardino, gettarlo nel cestone, chiuderlo ermeticamente con doppi nodi e mio figlio solo allora ha fatto la sua pur minima parte andando a gettare tutto nel secchione in strada.

Il dubbio a quel punto era: scegliere tra“Materiali non riciclabile”, “Alimenti o altri rifiuti organici”.
Voi che avreste fatto?
Sallybacetti

Momenti di amorosi scambi