Mia mamma, una ragione per votare

Mia mamma si iscrisse al Pci – anzi voglio scriverlo per esteso Partito comunista italiano – di Monteverde vecchio, già adulta, con un vissuto di signora, colta, della ‘Roma bene’ che prima di allora non si era fatta troppe domande sulla politica.
Si iscrisse al Pci e fu subito lotta con sua madre, sorella di un alto gerarca fascista presidente del CONI, fascista a sua volta.
Dopo una lunga militanza attiva, e dopo che furono prese approfonditissime informazioni su tutta la famiglia, ‘Paoletta’ su segnalazione della sezione entrò a lavorare a Botteghe oscure, proprio al secondo piano, quello della Segreteria e di Enrico Berlinguer.
Io ero a New York (lunga storia) studiavo e lavoravo alla Fiat US representative ma di lì a poco tornai a Roma.
Neanche io masticavo troppo di politica ma Pietro Ingrao era l’unico leader che mi smuoveva dentro la voglia di partecipare. Fù del tutto casuale che tramite mia mamma mi venne chiesto se volevo fare un colloquio proprio con Pietro Ingrao per seguirlo come sua assistente – ed il termine era omnicomprensivo e spaziava da portaborse a portavoce , da ricercatrice a segretaria – nel suo nuovo incarico di Presidente del Centro studi e iniziative per la riforma dello Stato (CRS) che con il Cespe (politica economica) e il Cespi (politica internazionale) erano i tre centri studi fiore all’occhiello del Partito.
Incontrai Pietro Ingrao nel suo studio, lui si alzò dalla scrivania, mi venne incontro, mi strinse la mano e….io mi sentii diventare una pozzetta d’acqua sciolta ai suoi piedi. Evidentemente lui ebbe di me un’impressione positiva e da quella stretta di mano (era il 23 febbraio 1983) cominciò il nostro lungo sodalizio fatto di grande abnegazione, tanta fatica, nel reciproco rispetto. Niente computer, niente internet, allora, la mia nuovissima Olivetti lettera 22 semiautomatica! per comporre lunghe relazioni scritte e riscritte, ‘sbianchettate’, il ‘taglia e cuci’, la fotocopiatrice in continuo movimento, i compagni tutti riuniti ad assemplare pagine e pagine di rapporti, di interventi. ‘Mezze paginette’ buttate giù andando a ricercare gli atti, le date, tutto nella massima precisione.
Poi la morte di Enrico Berlinguer. La folla oceanica al suo funerale. Il nome scandito forte di Pietro Ingrao a segretario. Il suo rifiuto ad accettare la segreteria. Fu certamente un errore per noi tutti ma lui ritenne che fosse meglio continuare a lavorare con le mani più libere.
Le notizie dello strappo della Bolognina irruppe una mattina come un fulmine ed io e Antonio Bassolino che tentavamo di comunicare con Ingrao lasciando messaggi un po’ come un lungo telefono senza fili perché lui si trovava in Spagna per i funerali di Teresa Ibarruri e i cellulari erano di là da venire.
La scissione. Mia madre passò a Rifondazione comunista, io restai ingraiana i miei due fratelli si schierarono con la maggioranza occhettiana. Lunghe liti, reciproche accuse. La politica e le sue scelte in un microcosmo famigliare.
Mia madre andò a occuparsi di Cultura e università per rifondazione comunista fino all’ultimo.
Una malattia cruenta e breve e la possibilità, con mia cognata (grazie Lilli, sei stata grande) medico di curarla a casa. E a casa venivano i compagni a trovarla, soprattutto i giovani che in quei giorni erano appena rientrati dal forum sul clima di Porto Allegre. NIchi, il suo ‘cocco’. Venne più volte anche Fausto Bertinotti e proprio l’ultima volta, in uno dei rari momenti di lucidità concessi dalla morfina, mamma gli disse “caro compagno non mi piace la linea che state dando al partito, le diatribe a Liberazione (di cui era direttore Sandro Curzi) … sono stanca ma vorrei ne parlassimo.
Fino alla fine mia mamma ha par-te-ci-pa-to, ha creduto nella politica del confronto.
Io che “ne ho viste cose che voi umani non potreste immaginarvi. Navi da combattimento in fiamme al largo dei bastioni di Orione…”, io non sono così forte, gli anni hanno rosicchiato molto dell’antico entusiasmo e tuttavia io- oggi- faccio mio il suo insegnamento e domani andrò a votare per il Partito democratico, con il fardello delle mie riserve ma nella certezza che il mio ceppo di appartenenza abbi ancora molto da offrire al nostro Paese nella serietà e nel sacrificio che metteremo tutti, ognuno nella sua misura.
Buon voto amici.

One Billion Rising (sebben che siamo donne)

In tempo di canzoni : ‘La sola cosa bella’ ‘In questo mondo di ladri’ in una Roma inondata dal sole a Piazza di Spagna eravamo in tanti e dico tanti perché c’erano donne, bambini e molti uomini che nulla hanno, ne vogliono avere, a che fare con le belve feroci che al chiuso nelle nostre case, o negli angoli più deserti delle città, con modalità diverse ma ugualmente dilanianti, usano violenza ad una donna, ad una bambina ad una vecchia.

‘ La sola cosa bella’ non è stato l’efficace discorso seguito dalla bella coreografia del balletto della Litizzetto da quello stesso palco che la sera prima aveva contestato Maurizio Crozza nella sua parodia a Berlusconi,  impenitente e laido dileggiatore delle donne, ‘fruitore ultimo’ e  ‘a sua insaputa’ di una catena di montaggio di parti anatomiche assemblate tutte allo stesso modo e in uguale misura, specchio deformante di un’immagine delle donne italiane, e delle donne in genere che ha preso di mira, che non è quella.

Significativa la data di questa colorata iniziativa mondiale : il 14 febbraio, giorno degli innamorati. Il giorno dell’amore di ogni coppia, il giorno che dovrebbe rinnovare quel patto d’amore che – malgré nous,  non è detto che duri in eterno ma che comunque deve essere scevro da ogni violenza: non ci si ama più ed è possibile convivere civilmente, come lasciarsi altrettanto civilmente.

Quando l’amore degenera ‘Bisogna saper perdere’. Che ognuno riprenda in mano le redini della sua  esistenza a testa alta per amore della vita.

Se il sangue scorrerà, quando la spada incontrerà la carne,
seccandosi al sole della sera,
la pioggia di domani laverà via le macchie
Ma qualcosa rimarrà per sempre nelle nostre menti

Forse questo ultimo atto è destinato
a ribadire una fondamentale verità:
che dalla violenza non può
e non è mai potuto nascere nulla
Per tutti quelli nati sotto una stella arrabbiata
per paura che ci dimentichiamo quanto siamo fragili

La pioggia continuerà a cadere su di noi
come lacrime da una stella
La pioggia continuerà a dirci
quanto siamo fragili, quanto siamo fragili

Crisi (anche) dei consumi

La crisi economica non cessa di prendere prepotentemente la scena, ancora lontano il Sunset boulevard, e gran parte degli italiani cominciano ad accusare la difficoltà di mettere insieme il pranzo con la cena. Difficoltà confermata dalla caduta libera dei consumi alimentari.
Lo stesso Istat ha diffuso dati davvero scoraggianti sulle vendite: ipermercati e discount subiscono un meno 2,3% mentre per la piccola distribuzione il calo è del 3,8%.
Poco male (si fa per dire) il risvolto positivo è che si accorceranno le attese alle casse il sabato mattina e gli scaffali saranno belli ordinati e terribilmente invitanti, come canta il mio ‘mito’ the Boss.

“C’è un mondo meraviglioso
dove tutto quel che desideri
e ogni cosa che hai sognato
è sulla punta delle tue dita
dove il gusto dolce amaro della vita
è sulle tue labbra
dove corsie su corsie di sogni ti aspettano
e la fresca promessa della gioia riempie l’aria
alla fine d’ogni giorno di lavoro è li ad aspettarti

Crisi di farfalla

Scrive Hesse:”…tutto il visibile è espressione, tutta la natura è immagine è linguaggio e colorato geroglifico…sono fratello di tutto ciò che ammiro e che sperimento come mondo vivente; della farfalla, dello scarabeo, della nuvola, del fiume, dei monti; perché lungo il cammino dello stupore sfuggo per un attimo al mondo della divisione ed entro nel mondo dell’unità, dove una cosa, una creatura, dice ad ogni altro.
“Tat twam asi” (“Questo sei tu”).

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L’Aniene all’Oasi del Vivaro. (fotografia scattata il 31 dicembre 2012)

Raggomitolata al calduccio nel mio piccolo mondo tenuto insieme con ostinazione, sempre più spesso sopraffatta dall’incoerente svolgersi delle cose, rileggendo questo suggestivo passaggio (niente avviene per caso) mi interrogo stupita se nella crudele sciatteria del nostro quotidiano che scava e violenta la vita, Hermann Hesse potrebbe, lui per primo trovare forza e convinzione per accendere un barlume concreto di speranza fugando lo spaesamento e lo sconforto della domanda/risposta che sorge immediata:
“Tat twam asi”
“ ..sì, ma cosa?”
(credo di avere bisogno di tempo, mi sono smarrita)