“Allora baciò la servetta a Bolzano, in una camera della Locanda del Cervo, tre giorni dopo la sua fuga dai piombi (.…)
Le due bocche si incollarono l’una all’altra, ed ecco cosa accadde: qualcosa cominciò a cullarli. Era un moto ondeggiante che ricordava le coccole fatte ai piccini, come quando un adulto prende tra le braccia un bambino che ha giocato molto ed adesso è triste perchè si è stancato e tra poco farà sera (…) continuarono a baciarsi, il moto che li cullava, quel rullio strano e malinconico, li travolgeva a poco a poco nel bacio, come fa il mare il cui andare oscillante è al tempo stesso ninnananna e pericolo, fatalità e avventura.
Fu come se stessero precipitando giù dalle rive della realtà in preda ad una vertigine, per accorgersi poi con stupore che riuscivano a vivere e a muoversi anche in quel elemento, nell’elemento ignoto della fatalità e che poi non era tanto sgradevole allontanarsi dalla sponda, lasciandosi cullare dolcemente, smarrire ogni contatto (…) Ogni tanto tra un bacio e l’altro si guardavano intorno con occhi assonnati, come se sollevassero il capo dalle onde per poi lasciarsi ricadere in basso in quel elemento pericoloso e ristoratore, lenitivo e indifferente, pensando :
‘Forse non è poi tanto orribile sprofondare nel nulla! Forse è quanto di meglio possa offrirci la vita: farsi cullare così e perdere la memoria.’
E, dopo aver spalancato le braccia con gesti supplichevoli ed invitanti, ciascuno strinse a sè con forza il capo dell’altro.
Fu così che continuarono a baciarsi.”
Ora voi dite pure di me quel che volete, pensate pure che sono – a dispetto delle apparenze – di un romanticismo che mette paura ma vi confesso che questo capitolo
‘Il bacio’
tratto dal romanzo di Sandor Marai “La recita di Bolzano”
è ‘il’ libro che da anni e per anni resterà sulla mensola appesantita sopra il mio letto.

Un libro struggente sull’egoismo calcolatore del geniale ‘seduttore’, incantatore del gran mondo, Giacomo Casanova, in declino e che tuttavia cerca ad ogni costo di riscattarsi ignorando la sua decadenza fisica. Fuggito dai Piombi, incapace di salvarsi in primis da sè stesso, destinato ad essere eternamente in fuga. Una fuga senza speranza chè ogni porta del suo mirabolante passato, anche quella rappresentata dall’amore della giovane contessa di Parma che ‘forse’ tanto ha amato, gli si chiude con le parole del vecchio Conte:
“ Fatti conoscere da lei, Giacomo, affinchè si renda conto che per lei non esiste una vita diversa da quella che le ha assegnato il destino, che tu sei l’avventura e che per lei non esiste nessuna possibilità di vivere insieme a te, perché tu sei la notte, la burrasca e la peste che sorvolano i paesaggi della vita, ma poi arriva il mattino, sorge il sole e la gente disinfetta le case, passa la calce sui muri e strofina i pavimenti…”
Eppure la vita è un susseguirsi di giorni e di notti e i brividi che si provano nel buio della notte non fanno forse parte della nostra formazione?
E dunque VOI’ Per cosa affrontereste il buio? e cosa vi renderebbe la luce del giorno?
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