Vi avevo promesso, subdolamente, di raccontarvi anche la storia di un altro anello che mia mamma mi regalò, questo – però – semplicemente per un mio compleanno perché a un certo momento della sua vita decise che doveva cominciare a fare ordine nelle sue cose, diceva lei.
L’anello di Mariuchi viene da lontano. Arriva dalla Danimarca.
Credo che essendo passati moltissimi anni, quasi due secoli perché parlo di un anello di metà/fine ottocento, potrei anche fare nomi ma chissà.
Forse è meglio tacere.

Maria H. era una (vera) signora molto giovanile per i suoi 35 anni cui calzava a pennello la descrizione che Flaubert dava della sua Bovary.
Era arrivata in Italia, approdata a Roma con la madre alla quale venne chiesto gentilemente e perentoriamente di lasciare il suo paese, assicurandole un vitalizio per lei e la sua bambina, figlia illegittima dell’allora re di Danimarca.
Mariuchi conobbe i miei nonni e quando nacque mia mamma le fece da madrina, non di battesimo perché nessuno di noi è stato battezzato ma lo fù a tutti gli effetti: sempre presente.
Mariuchi non si sposò mai, innamorata fino alla fine (di lui) del suo Eugenio, sposato con prole, che vedeva come e quando lui poteva liberarsi.
Nelle cose buffe che si raccontano nella nostra famiglia c’è una frase di Mariuchi. incredibile per i tempi (parlo della prima metà degli anni Cinquanta), che in sintesi diceva:
“Con Eugenio andiamo al cinema spesso… Ci sediamo nell’ultima fila e facciamo tutto…
NULLA ECCETTUATO…”
e immaginare anche soltanto lei, biondissima vichinga non certo modello tascabile, praticare il nulla eccettuato nell’angusto spazio di due sedili di un cinema rappresenta nel nostro lessico famigliare qualcosa di eroico, spericolato ma raggiungibile.
Quello che è particolare è che quando Eugenio morì, abbastanza giovane e sempre desideroso di poterla impalmare in attesa che la moglie, malatissima, spirasse, Mariuchi andò al funerale e successe l’incredibile perché la moglie e le figlie l’accolsero a braccia aperte e da quel momento lei divenne parte integrante di quella famiglia di cui silenziosamente aveva giorno dopo giorno conosciuto le vicissitudini, ed è probabile che la cosa fosse reciproca. Ah il grande cuore di Eugenio.
Quando nacqui io – lei che certo non nuotava nell’oro e non si faceva vergogna di dire con estrema nonchalance, prendendosi un po’ in giro, che mangiava veramente solo ai ricevimenti cui veniva invitata – regalò a mia mamma questo anello, suo preziosissimo ricordo danese, cesellato a mano, al centro del quale si posa una pietra di luna che a lei ricordava sua madre e i colori liquidi del suo paese mai visto e che visitò solo in tarda età quando il governo danese azzerò il divieto!
Quasi il sapore di una favola di cui ho solo ricostruito pezzetti di vita e sarebbe un delitto se un giorno in questa mucillagine che ci avvolge, le cose e dunque i nostri ricordi che ad esse si legano, venissero sperperati nel racconto consegnato con voce sottile, il senso distorta come nel gioco del telefono senza fili, dai nostri cari ad una, seppur vigile e gentile, badante straniera.
I nostri vecchi sono la nostra ricchezza, e la nostra ricchezza sarebbe quella di potere avere la possibilità di ricomporre umanamente il caleidoscopio mutevole delle loro vite senza le quali noi non saremmo che pulviscolo in un universo senza nome e senza storia.
…e con la storia dell’anello di Mariuchi vi consegno un pezzettino di me.
Vi prego sorridete.