E’ arrivata qualche giorno fa una barca a vela, altri uomini e donne “clandestini”: il mare ha restituito tre cadaveri, un numero imprecisato di dispersi forse già fuggiti al nord oppure morti.
Oggi è arrivato uno yacht (i novelli Caronte si camuffano sotto ricche mentite spoglie) che si è incagliato al largo: tra i tanti due donne giovanissime con i loro bambini anche loro “clandestini” tutti vivi e ricchi delle loro speranze a dispetto delle sofferenze già patite e dei racconti di chi quel viaggio lo aveva intrapreso già prima di loro.
“Clandestini” che rubano il lavoro agli italiani, “clandestini” che cadono dalle impalcature il giorno stesso che vengono assunti, “clandestini” che sudano negli alti forni piuttosto che nelle pizzerie.
“Clandestini” ovunque che ci assediano, che fanno paura anche quando si spezzano la schiena nei campi per portarsi sotto i ponti tre arance per cena e cinque euro, si ma ‘netti’!
“Clandestini” invisibili cui lo stato italiano non riconosce loro alcun diritto formale se non la mera sopravvivenza in attesa di rimpatriarli.
“Clandestini” invisibili angeli custodi posti a fianco dei nostri genitori anziani o malati che diversamente sarebbero relegati in lussuose quanto vi pare ma sempre “case di riposo” anonime e senza il calore di una vita vissuta nelle proprie quattro mura.
Io ne conosco molti di questi “clandestini” uomini e donne che hanno lascito nella loro terra i propri cari ed accudiscono i nostri.
In questi ultimi giorni di novembre che a Roma sono soleggiati e tiepidi come il più mite settembre, all’interno del parco dove io porto a spasso la mia Sally, appena di lato della stradellina di ghiaietto stanno due figure: la prima seduta su una seggioletta rossa da regista e la seconda su uno sgabellino. Passando a volte percepisco il brusio delle loro parole, oppure, come oggi, il vecchio signore è immerso nella lettura e condividono in silenzio l’ultimo sole
Oggi non ho resistito e di nascosto, a loro insaputa, ho scattato questa fotografia.
Tu chiamali se vuoi… clandestini
E qui la Sally-ina nel ‘suo’ parc