Cure compassionevoli

Forse The wolf of New York  di Martin Scorsese con il magnifica Leo Di Caprio si accaparrerà molti Oscar perchè è un film routilante che ti tiene legato alla sedia e non ti lascia riprendere fiato e, tanto sono sempre stra ‘fatti’ i personaggi  che  alla fine esci dalla sala più sballato di tutti loro.

ma…

Dallas buyers Club per me è sicuramente molto più avvincente. Niente affatto pesante o palloso o – peggio – strappalacrime.
Racconta una storia realmente accaduta negli anni Ottanta e la lotta spesso borderline del protagonista di potersi curare oltre il lecito per avere accesso alle cosi dette cure compassionevoli.
Matthew McConaughey il ‘bello’ delle commedie americane, il fidanzato d’America per girare questo film è dimagrito di 15 chili ed è perfetto nell’irruenza da macho insospettabile e fragile nei momenti della verità.

La questione che si dibatte in questi giorni in Italia è attualissima ( cura Stamina, lasciando da parte le scorrettezze e i dubbi sui ritardi di giudizio o suoi giudizi affrettati del Ministero della Salute e sui detentori del non brevettato metodo): lo Stato ha l’autorità di vietare la cosiddette cure compassionevoli ai malati terminali sopratutto se queste pseudo cure (placebo) ritardano la morte spesso a vantaggio (illusorio, forse, del malato) della qualità della vita?

Andate a vedere questo film senza essere prevenuti come lo è questa recensione di Mymovie:
“Dallas buyers club è infatti un racconto sentimentale molto ruffiano, che cavalca l’esaltazione della reale battaglia per la conquista del proprio diritto alla vita da parte di un uomo che compie tutto il percorso da deprecabile fino ad adorabile, un eroe pieno di difetti e dunque ancor più amabile, decisamente meno interessante, complesso o profondo di quanto l’interpretazione di McConaughey non cerchi di farlo apparire.”

Ma delle persone comuni a chi importa? e su Ron Woodroof  invece hanno fatto un film…

e comunque a me è piaciuto.

il cinema e l’Olocausto – storie di bambini

Il 27 gennaio, come ogni anno, vogliamo ricordare e fare in modo che le nuove generazioni conoscano e4 non dimentichino mai la tragedia dell’Olocausto-Shoah.

Anticipo questa giornata perché desidero sottoporvi alcuni film che, forse incuriositi, vorrete cercare in rete con calma domani.
L’ordine è quello che io ho scelto per assonanze personali.
Ho parlato di bambini ma per fortuna il mondo del cinema – di cinema di cui parlo – è sempre stato sensibile e attento nel documentare dalle diverse angolature la tragedia immane quanto assurda che ha prodotto tanto orrore e strazio di vite umane.

Il bambino col pigiama – Berlino, anni Quaranta. Bruno è un bambino di otto anni e una passione sconfinata per l’avventura, che divora nei suoi romanzi e condivide coi compagni di scuola. Il padre di Bruno, ufficiale nazista, viene promosso e trasferito con la famiglia in ‘campagna’ o meglio a dirigire un campo di concentramento in cui si pratica l’eliminazione sistematica degli ebrei. Bruno, costretto ad una noiosa e solitaria cattività nel giardino della villa in cui vivono, trova quotidianamente una via di fuga sconfinando dal giardino,  oltre il bosco e al di là di una barriera di filo spinato elettrificato incontra Shmuel, un bambino ebreo là detenuto insieme al padre.

Il cielo cade – Negli anni della seconda guerra mondiale, due sorelline orfane vivono un’infanzia felice presso una villa toscana, insieme agli zii ebrei tedeschi, Katchen e Wilhelm, lo zio cugino di Albert Einstein, che le hanno prese in custodia. Nell’estate del 1944 arriva nella villa l’’esercito nazista e i soldati trucidano tutta la famiglia lasciando loro vive perché ‘non ebree’.

La vita è bella – Orefice Guido, cameriere e poi libraio nell’Italia del ventennio, ha sposato una maestrina ricca, ed è ebreo. Esattamente come il suo vecchio zio, e come Orefice Giosué, il suo bambino. Come tutti gli ebrei, i tre sono stati caricati su un camion, poi su un treno, e portati in un campo di concentramento.

La chiave di Sara – Julia Jarmond, giornalista americana che vive in Francia da 20 anni, indaga sul doloroso episodio del rastrellamento nazista del Vel d’Hiv a Parigi. Il soggetto di un possibile articolo giornalistico diventa per Julia qualcosa di più personale, fino a svelare un mistero familiare

il diario di Anna Frank – Ecco un  film a cartoni animati giapponese che in un modo diverso, al passo con i tempi, con i nuovi linguaggi, risulta essere strumento efficacissimo nell’  avvicinnare le nuove generazioni ormai lontane anni luce, addirittura di un altro millennio: i millenials,  a ricordare l’orrore dell’Olocausto o Shoah nel lessico biblico di distruzione.

MI piace essere golosa

La golosità di vivere boccone su boccone la vita, carpirne i sapori ora aspri ora dolci. Mai bulimici, mai anoressici i momenti migliori si allacciano a un sapore.

“La donna oggi lavora. Quando ha tempo di pranzare a casa….l’insalatiera sostituisce la casseruola. Succede che ritrovi il piacere di cucinare in vacanza, all’aria aperta, anche solo grazie al fuoco da campeggio”:

Non è l’incipit di un ricettario e neppure della presentazione di Masterchief ma parte di un articolo che, nel 1939, la grande scrittrice e giornalista francese Colette scrisse per il neonato settimanale Marie Claire.
A questo primo articolo ne seguirono altri tra il ’39 e il ’40 , spaccati di vita quotidiana , ‘gustose’ e quasi anomale incursioni dell’allora scandalosa Colette nel ‘reame’ della domesticità.

Colette, pseudonimo di Sidonie-Gabrielle Colette, è stata una scrittrice francese, considerata fra le maggiori figure della prima metà del Novecento, Iinsignita della Legion d’onore, fu la prima donna nella storia della Repubblica Francese a ricevere funerali di stato perchè Colette fu una delle grandi protagoniste della sua epoca. Oltre che scrittrice prolifica fu attrice di music-hall, spesso nuda durante le sue esibizioni, autrice e critica teatrale, giornalista e caporedattrice, sceneggiatrice e critica. Nonostante i tre mariti e un amante, più volte fu al centro di scandali per le sue disinibite relazioni sentimentali con alcune personalità mondane, di ambo i sessi, della società francese.
Non aveva simpatia verso il neonato movimento femminista e tuttavia la sua fu una vita libera e anticonformista, da donna emancipata travalicò convenzioni e tabù femminili che incarnò nel personaggio di Claudine “dall’ammiccante selvatichezza, dalla spregiudicata sensualità”.
Eppure Colette in fatto di cibo si definiva una “borghese buongustaia e golosa” .
Amava quelli che allora come ora definiamo i sapori semplici della terra (slow food e Petrini non hanno ‘inventato’ nulla). Per lei un vero gourmet era quello che “si delizia di una tartina col burro come di un gambero arrostito” e la frutta “si accorda alla sete del pomeriggio”.
Tanto Colette fu azzardata e spregiudicata nella vita quanto fu rigorosa affermando che : “in materia di cucina io mi tengo salda solo alla tradizione. Un buon piatto è prima di tutto questione di moderazione e di classicità”.

Dove volevo arrivare? Semplicemente a segnalarvi un delizioso libretto (grazie a Jeannine che me ne ha fatto dono!) edito da Voland ‘Mi piace essere golosa’ che racchiude in forma compiuta ricette, curiosità, pensieri leggeri, di quella scandalosa signora delle lettere che fu  Sidonie-Gabrielle Colette.

Dove sono Io?

“Contemplando i musi dei cavalli e le facce della gente,

tutta questa vita correre senza rive sollevata dalla mia volontà

e che corre a precipizio verso il nulla

nella steppa purpurea del tramonto

spesso penso: dove sono IO, in questa corrente?”  (Gengis Kahn)

 

La Mongolia è un antico impero di ghiaccio, di sabbia e di foreste, rimasto come sospeso nel tempo.    L’asprezza del suo territorio ha in parte isolato il paese che è sopravvissuto allo scorrere dei secoli nella propria diversità nomade e selvaggia. 

Melanconicamente,  guardando al mio Paese disastrato nei suoi territori e nelle persone anche io,  con lo sgomento che è proprio della lungimiranza  dei grandi, ma certo io grande non sono, mi chiedo

“Dove sono io?”

Provare per c (r) edere

Chiariamo subito che non sono una cuoca né come mia nonna, madama torinese,  dalla cucina accurata che si avvicina abbastanza a quella dei cugini francesi, né immaginifica come mia madre che senza preavviso improvvisava una cena per noi e le nostre appendici con ingredienti basilari mischiati, a volte rischiosamente, ad arte.  Rimpiango l’allegria che metteva in ogni cosa e alla fine ogni cosa, la vita le ha dato ragione, tornava al meglio.

Era talmente bella e leggera, non leggiadra,  mia madre che mia nonno scherzando diceva ‘La Rondine! elle est volage’ intendendo con questo un po’ capricciosa e mutevole, ma nessuna donna ha avuto al momento giusto i piedi così ben piantati in terra come lei.

E’ vero che io parlo spesso di lei, poco rispetto alle volte che mi viene in mente, ma questa volta c’è una sua ricetta che trent’anni fa  appariva  un po’ un suo azzardo  e che oggi, au contrair, molti chéf propongono sia come dessert che come intermezzo soprattutto in uno  di quei pranzi che ci siamo appena lasciati alle spalle.

Ve ne trasmetto la versione ‘elaborata’ ove gli ingredienti nn necessariamente sono frigorifero.

Condire le arance con olio e sale credo faccia parte della cultura siciliana o calabrese  la versione ‘elaborata’ è opera di mia madre.

Insalata di arance rosse alla melagrana x 4 persone

 

4 arance rosse, 1 melagrana, un rametto di rosmarino, circa 10 olive snocciolate sott’olio, olio extravergine, sale e pepe bianco.

–         Sbucciare  2 arance togliendo bene la pellicola bianca e affettatele;

–         Aprire la melagrana e raccogliere tutti i chicchi in un colino e schiacciarli raccogliendone il succo e versarlo sulle arance precedentemente tagliate mettendole a marinare al fresco per circa un’ora:

–         Staccare le foglie del rosmarino e farle rosolare nell’olio bollente aggiungervi  poi le olive per qualche minuto;

–         Tagliare e affettare le rimanenti due arance

–         Mescolatele delicatamente con quelle precedentemente marinate aggiungete il rosmarino e le olice ed infine condite con olio (poco) sale e pepe.

Ricordate! Per le arance questo è il periodo migliore,  un melograno lo si trova ancora, e in balcone un rametto di rosmarino ‘deve’ esserci.

Buon fine settimana e sappiatemi dire.

Provare   per   c (r) edere.

il cervello della donna (e degli uomini no?)

Cervello_donna

E  se così fosse?  Credo di essere fortemente menomata (menomale).

Anniversari e compleanni. 

Zero oltre a mio figlio (che madre sarei) e mio fratello (quello grande) chè altrimenti me la farebbe pagare i compleanni non contano.   Ci tengo al contrario a festeggiare ri-go-ro-sa-men-te ogni mio singolo, cumulabile anniversario che passa.

Senso di attrazione verso l’oro.

Pressocchè nullo ma se c’è ben venga.

Capacità domestiche.

Con la scusa del lavoro… così come la pulizia del bagno alla quale però tengo moltissimo.

Abilità verso la guida.

Oh questo è il mio vanto. Mio padre diceva, e lo prendo per buono il complimento, che ho una guida ‘maschile’.  Poi, magari, mi metterei a concionare sulla cosiddettà capacità maschile che più che altro definirei spericolatezza o calcolo di probabilità.

Tant’è che mi piaccono le auto grintose con una bella ripresa. Con il pancione di 8 mesi guidavo un duetto spyder adesso, vecchierella, con la scusa della comodità…sssss…C1 ma metallizzata!

Ghiandola dell’iniziativa sessuale.

Occhei. Anche qui il mio temperamento viene tacciato un po maschile nel senso che il mio avere scelto libertà ed autonomia di domicilio, l’amore è bello finch’è tale e poi, magari con qualche borbottio di stomaco ognuno per la sua strada.

Centro controllo pettegolezzi.

Intendiamoci è divertente commentare e non spettegolare. Epperò in questo, padroni di non credermi,  noi donne ce la battiamo con gli uomini.

Ghiandola del ‘te l’avevo detto’

Inesistente.  Spesso mi è venuto da pensarlo ma se la persona e amica perché rigirare il coltello nella piaga?

Salto la ghiandola diamantifera.

Salto il generatore giustificazioni,

Beautiful… esiste ancora?

Impulso allo shopping zero

Qualche vestito ogni tanto si fa largo nei miei desideri

Le scarpe.

mannaggia, rigorosamente mai tacchi 12! Ma manco sette, sono un nervo scoperto.  Stivali bassi d’inverno che mutano in sandali e ballerine con il bel tempo ma le scarpe da ginnastica le mie preferite e con mio figlio è lotta dura.

Generatore di mal testa.

‘Quel’ mal di testa non esiste  perché le diverse ubicazioni fan sì che ci si incontri con mooolto piacere

E non è davvero una buona cenetta ed una buona etichetta a mettermi ko. E del resto ancora oggi mi chiedo che cosa sia il mal di testa: non ne ho mai sofferto.

Ovviamente mi piacerebbe conoscere il vostro cervello, al femminile, ma adattabile in molte voci anche ai masculi  perché, al di là di tutto, anche gli uomini hanno un cervello davvero non così programmato come la Storia ci propina e sono molto più divertenti nelle loro peculiarità e se lo sapessero su molte cose cambierebbero atteggiamento, soprattutto nel rapporto con il sesso femminile perchè entrando in sintonia le cose, tutte, diventano più semplici, sicuramente migliori (ossignur il pistolotto finale, lo cancello?).

La Befana vien di notte…

anno nuovo...colazione vecchia

 

La Befana è nel nostro immaginario una vecchietta che porta doni ai bambini la notte tra il 5 e il 6 gennaio.

Le sue origini sono frutto di credenze popolari e tradizioni cristiane.

 
La Befana infatti porta i doni in ricordo di quelli offerti al Bambino Gesù dai Re Magi. La sua rappresentazione è ormai la stessa da tempo quasi infinito: un gonnellone scuro ed ampio, un grembiule con le tasche, uno scialle, un fazzoletto o un cappellaccio in testa, un paio di ciabatte consunte, il tutto assortito da coloratissime toppe. E quando si vuol dire di una donna che è ‘diversamente bella’ la si taccia da Be-fa-na ….

E  la  piccola, educatissima, Sally in attesa della sua  Befanina, che le porterà una calza di ossetti e biscottini,  e una colorata, nuova, pettorina…presenzia alla mia colazione.

Buona Befana e ‘speriamo che noi ce la caviamo’ un po’ meglio nel 2014.

Love.