Sorprendersi (è rinascere)

E’’ che dietro le c(r]ose ci sei tu, Primavera, che incominci a scrivere nell’umidità, con dita di bambina giocherellona, il delirante alfabeto del tempo che ritorna.
(Pablo Neruda)
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È una gioia vedere tanti rami
verdissimi nel vento e tanti fiori
prepotenti, sboccianti, è una gran gioia
perché nel sangue pure è primavera.
(Cesare Pavese)

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Un momento della notte primaverile vale oro, quando i fiori si diffondono al chiaro di luna e ombreggiano la fredda fragranza.
(Su Shi)
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Un sereno fine settimana per voi ! Teniamoci strettiestretti anzi strettissimi ❤️

Ieri, un anno fa

“Abolissimo il gelo

l’estate non avrebbe mai termine

che le stagioni muoiano o trionfino

è una scelta nostra.”  Emily Dickinson

Faber est suae quisque fortuna! 

Facile a dire, serve coraggio, oggi, stringere i denti, sorvolare su troppi interrogativi, affidarci.

Un anno,  ieri. E a Roma, una città desolatamente  deserta, il sole riscalda una Primavera anticipata.

Le margherite del parco si aprono  anche per me e non possono non essere accolte con un sorriso .  (oh che melassa !)

That’s all folks!

Teniamoci strettistrette anzi strettissimi ❤

Ah!  Dimenticavo  la canzone

Don’t Let Me Disappear,   Non Lasciarmi Scomparire una esortazione dolorosa con la  quale Ben Harper da’ voce a tutte quelle persone che vivono una solitudine che non hanno scelto e che quindi, col tempo, ha indossato le vesti oscure dell’isolamento e dell’invisibilità

Tutto è già scritto

Le scritte che ho trovate nel web e un po’ ovunque nelle mie passeggiate per parchi  che vi propongo non sono farina del mio sacco ma le ricette cui ironicamente fanno riferimento le ho tutte sperimentate e sono allettevoli

Il soffritto non è certamente ‘salutare’ ma aggiunge un certo non so che di appetitoso a qualsivoglia sughetto o, perché no ad un secondo.

Solitamente il mio è utilizzato soprattutto per insaporire verdure in padella o, come vedrete sotto, le classiche polpettine.

Preparazione   –  un cucchiaio di olio ‘buono’, cipollotta si stagione, uno spicchio d’aglio a chi piace, peperoncino.  Lasciare sfrigolare qualche minuto senza bruciare e aggiungere il pomodoro.

Le vie del Signore sono infinite ed un orrore di ortografia può portarci alla ricetta di un buon ‘risotto’.

Il mio preferito è senz’altro il risotto allo zafferano con funghi (porcini).

Preparazione   –   Naturalmente i funghi porcini saranno essiccati e dunque è necessario farli rivivere in una ciotolina d’acqua tiepida. La ricetta è quella classica e non…perdo tempo:  il web serve a questo!

Solo un suggerimento ed è quello di non lesinare sullo zafferano che è costoso ma è indispensabile che sia di prima qualità.

Ecco sulle polpettine ‘di pane, ceci e funghi’  voglio darvi una ricetta di stagione molto sfiziosa che aiuta anche a utilizzare per mille pezzetti di pane duro che sbucano sempre dalla credenza.

Preparazione   –   per 4 persone  – 500gr di mane raffermo,  latte, 250gr di ceci (anche in scatola si trovano ottime soluzioni), 3 uova e  3 cipollotti freschi, 2 cucchiai di parmigiano,  e di pangrattatosale e pepe qb.

Per prima cosa ammorbidite il pane nel latte e mettete i funghi a bagno (anche la soluzione dei funghi surgelati non è sbagliata),  tritate i cipollotti, scolate i ceci e frullateli. Trizzate e sbriciolate bene il pane aggiungete i ceci, le uova, i cipollotti, il parmigiano ed i funghi;   impastate dopo avere aggiunto sale e pepe oppure qualche spezia (io di solito aggiungo un po’ di curry). Vi consiglio di mantenere in frigo per una buona mezz’ora il composto perché prenda maggiore consistenza .

Fate le polpette della dimensione che preferite rigiratele, nel pangrattato e mettetele a friggere in olio di semi circa tre minuti per parte.  Fate assorbire l’olio in eccesso e Voilà ! Sappiatemi dire.

 

Abbraccio o sei ‘shots’ di vodka?
Qui il gioco si fa duro perché ho i miei dubbi su chi alla fine riscaldi di più.

Io opterei per entrambi della serie ‘Facciamo del…bene’.

E comunque qualsiasi cosa decidiate di fare, fosse anche una semplice orzata,  rallegratevi col la Sallyina in grande soirée.

Da parte mia che dire se non che vi abbraccio e … teniamoci strettistretti anzi strettissimi.

ed è subito sera… e sangria

Macedonia  oppur Sangria

blog  sonnacchioso 🤩shera da mare salutista

La giornata è finita ed a me piacerebbe sorseggiare una fresca  Sangria in vostra compagnia.

Prepararla in casa è molto semplice. Basta disporre di ottima frutta di stagione, vino e spezie.
Non esiste un’unica ricetta della sangria – che prende nome dallo spagnolo sangue per il suo colore rosso cangiante –  e ognuno la fa a suo modo, ma in generale possiamo dire la regola più importante è che deve essere servita fredda e preparata con un po’ di anticipo perché tutti i sapori dei vari tipi di frutta hanno bisogno di tempo per sposarsi.

Serve un vino giovane, non  necessariamente di altissima qualità. Basta che sia buono, non astringente, dal retrogusto fruttato e molto profumato come il Merlot o il Primitivo , a mio gusto.
La sangria classica è rossa, preparata appunto con un vino rosso, ma esiste anche una variante chiara, tipica della regione della Catalogna, dal gusto più delicato ed è preparata con vino bianco.

La sangria originale si prepara con pesche, mele, arancia e limone. Poi si allunga con il succo di arancia ‘purtroppo’ il più delle volte confezionato.
Questa è anche la stagione delle fragole e dei frutti di bosco e la versione bianca con questi frutti è deliziosa soprattutto se al posto del vivno si utilizza un buon prosecco.

La preparazione è semplicissima,

Per prima cosa tagliate a cubetti due pesche noci e una mela e affettate abbastanza sottilmente un’arancia e un limone.
In un grosso recipiente di vetro versate mezzo litro di vino rosè e mescolatelo con 120 gr di zucchero, 2 stecche di cannella e 4 chiodi di garofano. Aggiungete poi altrettanto succo di arancia o limone e 50 gr di cointreau o brandy e lasciate riposare tutto per una notte, o per qualche ora, in frigorifero.

Al momento di servire aggiungete altri 500 ml di vino e 300 di acqua o  succo di arancia.

Scegliete dei bicchieri capienti e mettete all’interno prima la frutta con un mestolo e poi la parte liquida. Servite con una cannuccia e un cucchiaino.
A qualcuno piace molto fredda e quindi in questo caso servite a parte qualche cubetto di ghiaccio.

Ricordate! la sangria, come tutti i cocktail, va bevuta con moderazione perché non è una semplice macedonia di frutta!

A presto amiche e amici carissimissimi .Luglio è agli sgoccioli. Vi lascio con un brindisi oh sì!

Strettistretti non è proprio il caso ma un abbraccio circolare e…Cin Cin Cin ! ! !

foto dal web

e menta sia

Dopo una lunga e piacevolissima telefonata con un’amica, ci siamo lasciate augurandoci, data l’ora e la gola ancora zeppa di parole : ‘Ci vorrebbe un Mojito!’

Il Mojito, quello che beviamo comunemente – ecco – sopratutto nella bella stagione,  ha origini cubane. Si racconta  che sia stato sperimentato per la prima volta  nel famoso locale dell’  Habana La Bodeguita del Medio di cui  Ernest Hemingway  era affezionato cliente e robusto bevitore.

Il Mojito, l’ originale,  non è mai troppo alcolico poichè i cubani iniziano a berlo sin dal mattino per via  del caldo estivo e d’altra parte gli impegni quotidiani non consentirebbero di essere eternamente (felicemente), non del tutto sobri.

Più che un cocktail, dunque, è una bevanda leggermente alcolica, dissetante,  a base di (un) lime, zucchero di canna raffinato  (bianco), acqua gassata, rum bianco e naturalmente l’ indispensabile  hierba buena sostituita egregiamente dalla nostra menta fresca e dolce visto che la hierba buena cresce solamente a Cuba.

Si sono tramandate molte curiose leggende sulla Menta conosciuta ed utilizzata fin dai tempi più remoti.

Raccontano i poeti antichi, che la menta fosse in origine una bellissima fanciulla, amata da Plutone trasformata per vendetta in erba da Proserpina… Plutone tuttavia  come ultimo suo gesto d’amore le regalò un intenso pungente profumo tanto da attirare chiunque le passasse accanto.

Questa leggenda d’amorosi sensi contribuì ad attribuire presunte virtù afrodisiache alla menta  che con il suo profumo soavissimo  fu scritto:  :”risveglia le forze del sesso quando siano carenti o sopite”.

Ci si mise di mezzo anche Zeus perchè un’altra leggenda vuole che proprio lui,  respinto più e più volte dalla ninfa,  trsformasse  Myntha in una pianticella fredda e dai contorni pungenti così come lei si dimostrò nei suoi confronti.

Niente amore, contrasti o sesso nell’antico Egitto poichè, così come testimoniato nel Papiro Ebers, la menta veniva utilizzata dai sacerdoti per donare lucidità mentale e longevità.

La preparazione.del Mojito

 In un bicchiere, tradizione vuole sia un  tumbler alto posate le foglie di menta (in genere 10/12 foglie), spremeteci sopra il lime e aggiungete due cucchiaini da cappuccino di zucchero di canna bianco, con un pestello esercitate una leggerissima pressione in modo da amalgamare gli ingredienti stando attenti a non lacerare le foglie di menta, riempite il bicchiere con del ghiaccio spezzato (non tritato) e a questo punto aggiungete il rum bianco in una dose che va dai 4 cl ai 7 cl, dipende dal vostro grado di resistenza all’alcool (a me piace forte, robusto, come al santo bevitore Ernest). Completate con due dita di soda o acqua gassata.

 

 Allora? chi accetta il mio invito?

( ‘… e chi non beve con me peste lo colga!’ )

Niente però vieta agli astemi ( mmm 😦  ) di esserci e dunque

Teniamoci strettistretti anzi strettissimi. Buona settimana.

Foto dal web. Sally è Sally

che cosa c’è in un nome…

“Ciò che chiamiamo Rosa anche con un altro nome conserva sempre il suo profumo.” W:S:

Non ho il pollice verdissimo ma… ma la mia rosa non ha eguali e sarebbe grande egoismo non gioirne con voi.

Teniamoci strettistretti anzi strettissimi (attenti alle spine, può succedere che…) Sereno weekend 🙂


felicità vittime e ciliegi in fiore

La felicità è qualcosa di grandioso, incommensurabile per chi riesce a non farne un feticcio irraggiungibile.

La felicità è oggi – primo giorno di Primavera (che poi sarebbe stata ieri per una serie di calcoli astrali), –  quell’inpercettibile desiderio di pettinare con le dita a rastrello  le margheritine  ingarbugliate dalla pioggia e dal vento.

La felicità, quella vera, quella del profumo del pane appena sfornato, dei primi cinguettii, della camicetta scollata, è anche un po’ bastarda perché ti pone di fronte a quel  tarlo che rema contro e ti ricorda di quanti apprezzerebbero ed invece sempre più sono condannati a desiderare uno straziante  silenzio tra la raffica di una mitragliatrice e una bomba che esplode, le urla concitate degli aguzzini i gemiti e le preghiere delle vittime che finalmente  trovano una collocazione attiva nelle società esercitando (a loro insaputa) un mestiere non so quanto a loro stessi allettante. Indietro non si torna. Mestiere a tempo indeterminato, nessun licenziamento per giusta causa.

“La vittima, che è diventato un mestiere… questa figura stramba per cui la vittima ha il monopolio della parola. Io non dico che non abbiano diritto a dire la loro, figuriamoci. Ma non ce l’hai solo te il diritto, non è che la storia la puoi fare solo te”.

Questo l’exploit  dell’ex brigatista Barbara Balzerani, condannata a 30 anni di galera, direttamente implicata nel sequesrto e nell’uccisione del Presidente Aldo Moro, Mai pentita (e lo si capisce).

Una donna arida come un sercio, arrogante.  Non che le donne quando ci si mettono, e se ci si mettessero, siano migliori degli uomini ma questo cinismo mi è repellente perché ‘la’ vittima porta con sè un sacco di implicazioni,  si incatena indissolubilmente con la sottrazione di sé e al dolore che procura a quanti l’ hanno amata  o semplicemente stimata.        Il mestiere della vittima e il suo fiorente indotto.

Due giovanissime donne di vent’anni l’una e trentuno l’altra sono state uccise dai loro compagni in quest’ultima settimana a ridosso della nuova luminosa stagione.

La vita rinasce in Primavera, I ciliegi e la strabiliante bellezza della loro fioritura sono un rito molto seguito in Giappone eppure le nostre donne – mi limito a parlare di loro – sono subito ciliegie: una tira l’altra ma senza felicità.          Vittime.

(foto sherazade riproducibili previa autorizzazione)

Donne… dududu in cerca di guai

Nella primavera di sedici secoli fa, ad Alessandria d’Egitto, una donna accusata di eresia,  poiché  si dedicò alla relazione tra filosofia e scienza e per prima intuì che i pianeti compiono un’ellissi intorno al sole, fu assassinata. Fu aggredita per strada, spogliata nuda, trascinata nella chiesa «che prendeva il nome dal cesare imperatore», il Cesareo, torturata brutalmente prima di essere finita.

“Se mi faccio comprare, non sono più libera, e non potrò più studiare: è così che funziona una mente libera” (Ipazia, 370 d.C. Alessandria d’Egitto, figlia di Teone di Alessandria in Ipazia Vita e sogni di una scienziata del IV secolo)  

Ipazia fu matematica, astronoma, sapiente filosofa, influente politica, sfrontata e carismatica maestra di pensiero e di comportamento tanto da accecare d’invidia il  vescovo Cirillo, che ne decretò la morte che invece di cancellare Ipazia dalla Storia la fece rivivere in eterno nella fantasia di poeti e scrittori di tutti i tempi.  Fu, giustamente molto  celebrata e idealizzata,  a volte in modo mistificatorio aggiungendo o togliendo qualche tassella.  Della sua vita si è detto di tutto, soprattutto della sua barbara morte: aggredita, denudata, dilaniata, il suo corpo fu smembrato e bruciato sul rogo.  Fautori furono i paraboloni, fanatici esponenti di quella che da poco era diventata la religione di stato nell’impero romano-bizantino: il cristianesimo giust’appunto nel marzo del 415 dc!
Ipazia è stata una figura di donna ( e non è stata certo l’unica né – purtroppo – lo sarà) che sin dall’antichità non ha smesso di far parlare di sé e di proiettare la luce del suo martirio sulle battaglie ideologiche, religiose e letterarie  arrivate  all’oggi,

8 marzo 2018

giorno nel quale mi fa piacere regalare a tutte e tutti  voi questo libro della storica e filologa Silvia Ronchey

Si tratta di un libro importante ed interessante soprattutto perché le notizie dirette sulla vita di Ipazia sono alquanto scarse: le due principali fonti antiche sono la Storia Ecclesiastica di Socrate Scolastico e gli scritti di Damascio, filosofo neoplatonico vissuto un secolo più tardi. Inoltre  scritti di Ipazia sono andati perduti o incorporati in pubblicazioni di altri autori.

E poiché a ‘noi donne’ non si può dire di no, vi segnalo anche un bel film del 2009 di un regista con i fiocchi Alejandro Amenàbar ( Vanilla sky, Il mare dentro, The Others ed altri)  :  Agora  interpretato dalla bellissima e brava Rachel Weisz,  negli ultimi mesi molto attiva nel movimento hollywoodiano #metoo,  nelle vesti di Ipazia.  L’uscita del film in Italia fu ritardata di circa un anno perché ‘pare’  vi fossero delle resistenze da parte del  Vaticano:  infatti  nonostante fosse stato riconosciuto  il mandante  della morte di Ipazia, Cirillo prese il potere su Alessandria ed in seguito, molto dopo in effetti, fu  nominato santo e dottore della Chiesa e in particolare ‘dottore dell’incarnazione’  il 28 luglio 1882.

8 marzo 2018

A Roma è una bella giornata di sole ed io mi ricordo bambina con i fiori messi nei capelli e mia mamma e le altre donne per un giorno, almeno per un giorno, in corteo ballare spensieratetete.

Teniamoci strettestretteanzistrettissime

(ci può essere allegria nella consapevolezza del male e nella condivisione del dolore)

Giovedì Gnocchi

‘la famiglia de’ gnocchi è
numerosa e così pure chi ne rivendica la paternità.’ Pellegrino Artusi

Il Lazio rivendica un diritto di “priorità”, tant’è vero che
a Roma gli gnocchi rappresentano il piatto tradizionale del giovedì, seguendo il detto
“giovedì gnocchi, venerdì pesce e sabato
trippa” .

E’ un detto all’incirca del secolo scorso che si associa alla tradizione cattolica del digiuno e comunque ad escludere la carne.     Gli gnocchi sono un piatto molto nutriente e gustoso che predispone alla leggerezza del venerdì.

Giovedì gnocchi. Ma allora perché anche  ‘Sabato trippa’?

Trippa e frattaglie sono le parti ‘a tirar via’ e i macellai che preparavano i tagli pregiati per il pranzo domenicale dei  Signori pur di guadagnarci le vendevano a poco prezzo… ma si sa che la fame aguzza l’ingegno e  soprattutto la trippa è diventava un piatto della tradizione romana gustosissimo di cui vi parlerò, appunto, un Sabbato.

Ero già grande, prima autonoma e poi successivamente con figlio ma ogni qual volta eravamo a cena da mia madre e lei mi chiedeva le nostre preferenze  immancabilmente la risposta era: Glii gnocchi!

Mia madre non era una cuoca di quelle come vengono propagandate da tante trasmissioni; aveva imparato tardi a cucina per ‘necessità’ ma aveva molto ingegno e soprattutto senza leggere le ricette sapeva per tutto trovare la dose perfetta e aggiungere quel quid che rendeva ogni cosa ‘sua’.

Ecco! È mattina ho appena fatto colazione eppure è come se… eppure nessuno sta cucinando. Lei era insostituibile in tanti piatti sfiziosi; arrivavano all’improvviso e le bastava poco per soddisfare i nostri appetiti.

Giovedì gnocchi. I suoi gnocchi gioco forza ho imparato a farli. Un modo per stare ancora insieme. Bando ai sentimentalismi!

ingredienti per 4 persone

1 kg. di patate farinose;     110 grammi circa di farina bianca;     110 grammi circa di semola di grano duro;     (se non volete usare la semola fate 300 grammi di farina bianca);     1 uovo;     sale q.b.

preparazione

Lavate le patate (mai le novelle poco corpose) e mettetele a cuocere in una casseruola,quindi copritele con acqua fredda leggermente salata .
Quando saranno cotte,scolatele,pelatele e schiacciatele ancora calde con lo schiacciapatate,facendo cadere il ricavato sulla spianatoia.
Unite l’uovo, regolate di sale ed iniziate ad aggiungere le farine,prima quella bianca,poi quella di semola di grano duro.
Lavorate bene l’impasto fino ad ottenerlo uniforme e liscio; a questo punto ricavate tanti bastoncino della grandezza di un dito e da questi tanti pezzettini da 2 cm di lunghezza, distribuendoli sulla spianatoia ben infarinata e fate in modo che non si attacchino tra di loro.
Lessate gli gnocchi in acqua bollente,salata, cuocendoli per pochi istanti , a mano a mano che vengono a galla toglieteli con il mestolo forato e conditeli a vostro piacimento.

Le osterie romane generalmente li condiscono con un sugo molto ricco, possibilmente con qualche spuntatura di maiale ad insaporirlo. Un po’ grasso ma gustosissimo.

Io preferisco una leggera passata di pomodoro fresco, fatta cuocere max dieci minuti con un mazzetto di odori in una garza e poi condisco con tanto parmigiano (o pecorino).

Vi è venuta l’acqualina … coraggio è una preparazione semplicissima: le patate bollone da sole,  impastare non è gran cosa, il sughetto anche lui va per conto suo e nei giusti tempi dunque…

Giovedì gnocchi…

mentre noi andiamo al parco: fa bene alla linea e predispone agli gnocchi !