La Rondine (*) in cucina

(*) Rondine il nome di mia madre
.
Vola libera e felice, aldilà dei compleanni, 
in un tempo senza fine, nel per sempre.
.

Ero già grande, prima autonoma e successivamente madre  ma ogni qual volta andavamo a cena da mia madre e lei ci chiedeva cosa volessimo mangiare la risposta immancabilmente era   : “Gli gnocchi!”

Mia madre non era una cuoca di quelle come vengono propagandate oggi da tante trasmissioni; aveva imparato tardi a cucina per ‘necessità’ ma aveva molto ingegno e soprattutto senza seguire pedissequamente  alcun  ricettario  sapeva  trovare la dose perfetta e aggiungere quel quid che rendeva ogni cosa ‘sua’. Ci ho ripensato  negli anni e quel quid era l’allegria e l’amore con cui ci accoglieva.  Poi magari si discuteva aspramente  ma all’arrivo della sua crostata ogni diatriba finiva.

Ecco!  È mattina ho appena fatto colazione eppure è come se… eppure nessuno sta cucinando.

3 dicembre.

Giovedì gnocchi. I suoi gnocchi, gioco forza,  ho imparato a farli. Un modo per stare ancora insieme. Bando ai sentimentalismi e organizziamoci!

ingredienti per 4 persone

1 kg. di patate farinose;     110 grammi circa di farina bianca;     110 grammi circa di semola di grano duro;     (se non volete usare la semola fate 300 grammi di farina bianca);   1 uovo;     sale q.b.

preparazione

Lavate le patate (mai le novelle poco corpose) e mettetele a cuocere in una casseruola con acqua fredda leggermente salata .
Quando saranno cotte, pelatele e schiacciatele ancora calde con lo schiacciapatate, e ponetele sulla spianatoia o sul piano del tavolo.
Unite l’uovo, regolate di sale ed iniziate ad aggiungere le farine,prima quella bianca, poi quella di semola di grano duro.
Lavorate bene l’impasto fino a renderlo uniforme e liscio;  a questo punto ricavate tanti bastoncino della grandezza di un dito e da questi tanti pezzettini da 2 cm di lunghezza, distribuendoli sulla spianatoia ben infarinata e fate in modo che non si attacchino tra di loro.
Lessate gli gnocchi in acqua bollente,  leggermente salata, cuocendoli per pochi minuti , a mano a mano che vengono a galla toglieteli con il mestolo forato poneteli in una zuppiera  e conditeli senza lesinare il sugo.

Le osterie romane generalmente li serbono con un sugo molto ricco,  spesso  con l’aggiunta di spuntatura di maiale ad insaporirlo. Un po’ grasso ma gustosissimo.

Io preferisco una leggera passata di pomodoro fresco, fatta cuocere max dieci minuti con un mazzetto di odori e  tanto parmigiano (o pecorino).

Oggi è  giovedì ed è  soprattutto il compleanno della mia mamma, dolce e coraggiosa,  sognatrice e determinata, una “ragazza del ’46” che ha portato avanti le lotte e le conquiste delle donne di  cui oggi noi tutte godiamo.

Buon compleanno Mamma ❣

Teniamoci  strettestretti anzi strettissimi!

La Rondine

Mio nonno Ugo Giannattasio era un giovane artista che viveva a Parigi dipingeva e fu tra i firmatari del Movimento futurista.

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Gouache su cartoncino.

La mia nonna Renata,  piccola minuta torinesina di rigida e nobile ascendenze,  si innamorò e fuggi con il giovin  pittore e fu così che dopo i canonici 9 mesi il 3 dicembre arrivò, e crebbe, La Rondine.

Una bellezza da urlo senza tempo!
La Rondine Ondina della Lazio

E ritorna e ritorna ogni anno la mia Rondine decembrina,  piena di vita oltre le ferite del vivere,   gioiosa e golosa a gustare il suo Montblanc. La   vedo,  gli occhi che brillano,   lei, sempre presente   nei momenti più difficili dei suoi tre figli,  orgogliosa di noi, di me che ne ho combinate tante, che ho scalciato come un mulo fuggendo da me stessa,  per ritrovare sempre il mio porto sicuro tra le sue braccia.

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La Rondine nascosta in una nuvola bianca.

” Vola libera e felice,
 al di là dei compleanni,
in un tempo senza fine,
nel persempre.
Di tanto in tanto noi c’incontreremo
 – quando ci piacerà –
nel bel mezzo dell’unica festa
che non può mai finire. ”

(Richard Bach,   Nessun luogo è lontano)

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La Rondine a Sperlonga pochi mesi prima di (ri)prendere il volo. Lassù.

Buon compleanno alla mia Rondine,
Buon compleanno Mamma 🌹❤

Solo per questa volta lasciatemi strettastretta nel suo nido.

Via Corsaglia

Ma poi perché e chi lo dice che soltanto i grandi uomini (e donne) o semplicemente chi è artefice di passaggi epocali diventa memoria collettiva?

Il ricordo  resta e riaffiora anche attraverso i piccoli gesti di gente comune che ci tiene compagnia bel oltre il loro reale passaggio terreno; gesti che si tramandano e diventano leitmotiv da condividere.

Ieri è stata una bellissima giornata; la più piccolina della famiglia ha compiuto due anni  eppure tornando a casa mi sentivo il cuore pesante carico di tristezza come se tanta spensieratezza in questi miei giorni non mi appartenesse.

(compleanno Alessia, foto sherazade)

Oggi, erano circa le 11, uno scampanellio famigliare.

‘Sono Roberto’

Sally insopportabilmente frenetica.

‘Socchiudo soltanto perché …non sono presentabile’

‘Sto andando per un lavoro…’.

e da uno spiraglio spunta un rametto di ulivo.

Oltre vent’anni fa quando venni ad abitare in questa casa, accanto c’era un negozio di motorini e il titolare il sor Renato era un po’ il nume tutelare della nostra strada.     Il suo unico figlio morì il giorno di un 24 dicembre a 16 anni investito (anche lui aveva colpa) da un autobus.

Presi confidenza e mi fermavo sempre più spesso rientrando a casa e una volta gli parlai di mia madre  del fatto che nonostante nessuno di noi fosse credente lei regalava a noi tre figli,  la Domenica delle Palme,  un rametto di ulivo che io conservavo per tutto l’anno nel portafoglio.

Da quella volta non ci fu anno che io sul parabrezza del motorino e della macchina non trovassi il mio rametto di ulivo benedetto.  Era del sor Renato.

Molte cose  mi legavano a quest’ uomo all’antica che mi raccontava spaccati di vita degli anni ’40, della guerra a Roma, di Monte Sacro una distesa di campi di grano,  della sua povertà e delle gambette ferite dalla paglia delle spighe che loro ragazzini raccoglievano correndo dietro da trebbiatrice per farne a casa un po’ di farina.

Il sor Renato morì nel febbraio del 2008 ma io per la Domenica delle Palme trovai sotto il tergicristallo della macchina  il mio ramoscello di ulivo:    il falegname, Roberto, aveva raccolto il testimone.

Via Corsaglia, figlio in moto e C1, foto sherazade

Così anche stamattina come fosse  una carezza ho allontanato la mia tristezza di ieri ed ho accolto il messaggio di mia mamma, del sor Renato abbracciandomi stretta  al falegname Roberto e naturalmente con le lacrime che scendevano da sotto gli occhiali (che vergogna).

Piangere fa venire gli occhi belli e luminosi, questo lo diceva mia nonna,  e piangere  dopo tanto  struggimento è salvifico : è come tornare a respirare dopo una lunga apnea.

Piccoli uomini? Silenziosi portatori di Pace.

Fiduciosamente sapersi abbandonare, foto sherazade

parole (e anche pensieri)

Ghiaccio bollente

sapore di  bacio

nel buio

disinnescata cornucopia

incontenibili emozioni

anima danneggiata

gabbia  oscillante

finestra schiusa

parapendio

volteggiare

massimo inganno

logora gioia

muta

piuma in piombo

illusione

vorticosamente

(angelo mio)

caduto

piangi rugiade.

Te
amo.

La prima camelia (foto sherazade)

Buon fine settimana. Teniamoci strettistrettissimi

La crostata della Memoria

Roma, simbolo universale della cattolicità, in realtà è una città anche ebraica. Da più di duemila anni vive qui una comunità, la più antica, di ebrei della diaspora e non come ospite ma parte integrante della vita, della storia e della cultura di questa città. Senza la loro presenza Roma non sarebbe più la stessa.

Persino la tradizione gastronomica più antica e verace che unisce la cucina giudaico-romanesca ne risentirebbe. Niente più passeggiate fino al Forno del Ghetto per andare a comprare la crostata di ricotta e visciole, così amata dai tutti i romani che amano cenare in uno di quei ristorantini senza tralasciare le squisite polpettine al sedano che le insaporisce al posto del parmigiano essendo vietato mescolare carne e latte (parmigiano).

Il pane, ne vogliamo parlare?,  che  ha un posto speciale nella tradizione culinaria ebraica poiché considerato pietra miliare dell’alimentazione, quindi fondamento della vita, e che  richiede speciali benedizioni quando si consuma. Il pane del sabato si chiama challah e  di norma si prepara in casa e portarlo in tavola è una festa.

Io vorrei quest’anno ricordare e raccontare gli orrori dell’Olocausto attraverso il ‘piacere’ delle piccole cose quotidiane che dovrebbero fare da collante tra le genti e niente unisce di più del rituale del cibo. Il piacere dello stare insieme, del condividere l’ospitalità.

L’Olocausto ci ha restituito brandelli di uomini e donne, pochi bambini, scheletri baudelaireiani occhi affamati.

Ricetta originale della Crostata di ricotta e visciole (6 – 8 persone)

400 g farina;  240 gr di zucchero;  200 gr.di burro;  4 tuorli d’uovo;  scorza di limone;  un pizzico di sale,  400 gr di ricotta di pecora;  2 uova intere; 2 cucchiaini di sambuca o rum; 350 gr. confettura di visciole.

per la frolla:
400 g di farina;  200 g di zucchero;  200 g di burro;  4 uova, solo i tuorli; scorza di limone;
sale.
Preparare la frolla con gli ingredienti sopraelencati, farla riposare
per il ripieno:
400 g di ricotta romana di pecora; 140 g di zucchero; 2 uova ;2 cucchiai di sambuca o rum , a piacere; 1 barattolo di confettura di visciole, 350 g circa

Mescolare insieme tutti gli ingredienti per la crema di ricotta fino ad ottenere una crema perfettamente liscia.         Con parte della pasta frolla rivestire il fondo e i bordi di una tortiera (diametro 26 cm), fare uno strato di confettura quindi versarvi sopra la crema di ricotta. Con la pasta rimasta ricavare, con l’aiuto di una rotella dentellata, le strisce per la copertura.        Far cuocere la torta in forno a 170°C per circa 1 ora quindi aspettare che sia ben fredda prima di tagliarla e servirla spolverata di zucchero a velo.

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Il cielo cade – Negli anni della seconda guerra mondiale, due sorelline orfane vivono un’infanzia felice presso una villa toscana, insieme agli zii ebrei tedeschi, Katchen e Wilhelm, lo zio cugino di Albert Einstein, che le hanno prese in custodia. Nell’estate del 1944 arriva nella villa l’’esercito nazista e i soldati trucidano tutta la famiglia lasciando loro vive perché ‘non ebree’. Questo non essere ebree e sprezzantemente  ‘vive’ ha segnato la loro vita.

Queste due bambine di allora, morta la loro mamma di parto ed essendo mio nonno e loro padre grandi amici, furono accolte in casa e cresciute fino a sei anni da mia nonna con mia mamma e le mie due zie.  Oggi sono le uniche persone care della mia famiglia – di quella generazione – ad essermi rimaste e in questi giorni Lori sta, come sempre tutti gli anni, girando l’Italia a raccontare il suo Il cielo cade che è anche un libro ripubblicato da Sellerio Editore.

Per non dimenticare, insieme.

Buon Natale mai finito

Vorrei che ogni città avesse una bacheca dove potere scrivere di una inaspettata sorpresa scaturita da un malaugurato evento. Ci accorgeremmo che il nostro quotidiano è meno indifferente e meno truce di quel che troppo spesso ci appare.

23 dicembre. Mio figlio fa un veloce lunch con degli amici. Come mai gli era successo in tanti anni, riparte in moto senza levare la catena che si incastra in modo irreparabile al momento.

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Pazienza…si è fatto tardi, prende un taxi e di corsa in ufficio.
La sera pur di tornare a casa velocemente e velocemente risolvere la questione della moto decide di prendere un secondo taxi…ops niente portafoglio!
Unico possibile luogo il taxi del dopo pranzo.
A casa dunque arriva con due problemi ed io ero già pronta a strapparmi i capelli.
Chiamato il radio taxi: difficile individuarlo senza numero di matricola comunque…
Dopo mezz’ora arriva la telefonata con la bella notizia del nome dell’autista con il portafoglio consegnato da un cliente.
Luca chiama il taxista declina le sue generalità: tutto a posto allora il taxista gli dice che poiché lui era smontato ed abitava a Fiumicino – immaginando l’urgenza di riavere i documenti – aveva dato in consegna il portafoglio ad un collega che, secondo la patente di mio figlio abita a pochi isolati da noi.
Luca ringrazia e chiama il secondo taxista il quale si rende disponibile nell’arco della sera/mezzanotte di chiamarlo per vedersi. Non ce la fa e tutto viene rimandato alla mattina successiva quando alle 9 circa dopo due robuste suonate rispondo al citofono:
“Signora abita qui il ragazzo che ha perso il portafoglio?”
“Si sono la madre”.
“Signora mi scusi potrebbe scendere lei perché ho la macchina in doppia fila…”
Mi precipito al portone e mi trovo faccia a faccio con un bel cinquantino con in mano il portafoglio.
Nel frattempo io mi ero presentata con un Pandoro e dopo esserci reciprocamente fatti gli auguri con una vigorosa stretta di mano è avvenuto lo scambio.

E la moto? Ah ma io ho la fortuna di avere un factotum, sapete, un rumeno anomalo che non beve, non fa la tratta delle donne e neppure il corriere della droga, un rumeno con le mani d’oro che tra l’altro è l’artefice anche del mio nuovo bagno e prima ancora della mia cucina e che chissà in futuro… il quale senza troppa fatica la mattina del 24 dicembre alle 6.30 am nel buio brinoso e freddo di una Roma intirizzita con poca fatica ha liberato la catena. Florian è magico.

Sembra ‘magica’ anche quest’avventura che ho raccontato almeno venti volte e venti volte ha lasciato sbalorditi.
In un sol colpo non un angelo ma dal primo taxista a Florian noi abbiamo smentito tristi luoghi comuni di disonestà e menefreghismo.

Una storia di Natale? Non credo: il quotidiano di persone come tante che conosco il valore dell’onestà e della solidarietà.

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Ecco perché vorrei la bacheca per ricordarci che non ci sono solo i ‘mostri’ da sbattere in prima pagina e che anche se vivere correttamente dovrebbe essere la regola, ripassarla non può che farci bene.

Buon Natale mai finito.

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(foto sherazade diritti riservati)

Memoria corta

Noi, quasi tutti, abbiamo la memoria corta, anzi cortissima.
A ‘questa’, direte voi, oggi le gira storto. No e sì. Continuano a vedersi in giro sul web e nei blog e si continuano a fare commenti ora pietistici ora roboanti sulla fotografia del bimbo fotografato morto riverso sulla spiaggia.

Io sono assolutamente contraria all’utilizzo di qualsiasi immagine che in modo spudorato voglia richiamare l’attenzione su un dolore singolo o collettivo – quale che sia – profondo ed esteso. Un bambino, un animale, un vecchio e una donna, naturalmente, sortiscono allo scopo.
Ne discutevo su di un post con l’amico Lorrain http://rognacsmartcity.com/ che chiudeva con questa frase:

“Ce qui est condamnable c’est toute utilisation de toute personne contre sa volonté. C’est privatif de liberté. De son image, de son espace, de son évolution, de son état, de sa conscience…”

Ricordate, ad esempio, la “strage” della scuola di Beslan?
Il primo di settembre del 2004 cominciò un assedio a una scuola nell’Ossezia del Nord che terminò con la morte di 385 ostaggi
Alle 9 e 30 di mattina del primo settembre 2004, un gruppo di separatisti ceceni attaccò la Scuola Numero Uno della città di Beslan, nell’Ossezia del Nord, e per 52 ore tenne in ostaggio 1.200 persone, in gran parte bambini. Durante l’assedio durato tre giorni, quando le forze speciali russe fecero irruzione, fu l’inizio di un massacro che causò la morte di centinaia di persone, fra le quali
186 bambini
Bambini Beslan

ed oltre 700 feriti.

Ecco. Volevo ragionare sul fatto che non serve lavarsi l’anima ora qui ora là, tuffandoci in uno sguardo implorante ma a occhi chiusi dovremmo sentire, rispettare e soprattutto non strumentalizzare il dolore altrui. Compassionevoli.
Tutti, oggi in questo mondo globalizzato, nelle nostre casucce serene siamo esposti agli stessi rischi. Mia nonna faceva l’esempio della tegola che ti cade in testa, insomma sempre di macerie si tratta.

Non ignoriamolo.

I suoi occhi, i nostri occhi

auguri

Sandra – orango di Sumatra che vive nello zoo di Buenos Aires da 20 anni –
dovrebbe presto essere trasferita in una riserva naturale in Brasile.
All’interno del parco Sandra, nato in cattività nel 1986, conoscerà il profumo della libertà.
Con una sentenza storica la Corte di Buenos Aires ha riconosciuto il diritto alla libertà dell’animale.

Una buona notizia che voglio dedicare a tutti voi, amiche e amici, con  i miei
AUGURI
di serenità, una serenità che molti sembra scontata, anzi quasi insopportabile.

I suoi occhi, i nostri occhi non abbassiamoli mai.

(melassa, ah shera quanta melassa!)

A me gli occhi please

Per il fine settimana, piovoso e freddo, speriamo non tragico negli eventi, vi affido “The Man with the Beautiful Eyes” tratto dal libro di poesie “The Last Night Of The Earth Poems” (1992) di Charles Bukowski, divenuto un cortometraggio di animazione nel 1999 aggiudicandosi numerosi premi.

…they had been
afraid of
the man with the
beautiful
eyes.
and
we were afraid
then
that
all through our lives
things like that
would
happen,
that nobody
wanted
anybody
to be
strong and
beautiful
like that,
that
others would never
allow it,
and that
many people
would have to
die.

(“Essi avevano avuto paura dell’uomo dagli occhi meravigliosi/…nessuno avrebbe voluto più/persone belle come quell’uomo,/che altri non lo avrebbero mai permesso/e che molte persone/sarebbero dovute morire.”)

Heinrich Karl Bukowski, Agosto 1929- marzo 1994 , statunitense, fu uno scrittore prolifico che riuscì ad usare la poesia e la prosa per descrivere la depravazione della vita urbana e gli oppressi nella società americana. Per il suo linguaggio diretto e immaginario, violento e sessuale alcuni critici ritengono che il suo stile sia offensivo, altri sostengono che Bukowski sia riuscito a dipingere in modo satirico il machismo attraverso i suoi riferimenti al sesso, all’abuso di alcol e alla violenza. La corrente letteraria cui è associato è quella del realismo ‘sporco’.

Questa poesia e questo video nella loro immediata e tragica allegoria sembrano dire altro. Ma noi sappiamo che la genialità dice e si contraddice nella sua poliedricità.

Buon fine settimana. Oppure, ai soliti ritardatari che la prossima settimana sia altrettanto buona.

donne dagli occhi grandi

“La zia Daniela s’innamorò come s’innamorano sempre le donne intelligenti:
come un’idiota”.

Il microcosmo della città messicana di Puebla si trasforma in un grande universo femminile animato dalle avventure struggenti e improbabili delle “zie”: donne capaci di tirarci per i capelli nei loro sogni non privi di passione spregiudicate, con originalità inedite che ognuna di loro imprime al tran tran quotidiano.

“Donne dagli occhi grandi”

di Angeles Mastretta, racconta di donne ma è un libro che una volta sul comodino cattura anche l’attenzione maschile per il suo modo ora ironico ora delicato, struggente ma mai banale,  di descrivere gioie infinite e  ferite incurabili di un sentimento chiamato ‘amore’ dal quale,  si mormora,  nessuno può – almeno una volta nella sua vita –  trovare scampo.
In attesa dei ‘botti’ di fine anno, satolli e parzialmente acquietati  dal buon sapore dell’ultimo della prima serie di dolcetti vari….buona lettura.