Come le briciole di Pollicino

Per un caro amico che se ne và alla chetichella

Trasferirmi da Monte Mario a Monte Sacro fu per me un trauma.
Si trattava di riorganizzare tutta la vita tra lavoro, scuola, soprattutto la persona che si incaricasse di prelevare il figliolo a scuola e aspettandomi fare qualcosa in casa e per cena.
Fu scelto Monte Sacro perché potendo anch’io comprare casa noi fratelli decidemmo  di avvicinarci tutti, soprattutto a nostra madre che invecchiava.
Passai da un super luminosissimo attico a un piano terra con giardino. La luminosità che nei mesi invernali non esisteva con l’abitudine è stata gradatamente compensata dalla piacevolezza del fresco del giardino e dalla sua vivibilità, una volta attrezzato e imbellito con tanti fiori, da aprile a settembre. L’appartamento e il giardino, esposti a sud-est guardano ad un ampio giardino condominiale di un altro palazzo, internamente, e dunque i rumori del traffico sostenuto di viale Jonio giungono attutiti.
Il motorino mi porta(va) al lavoro in massimo 15 minuti.
E proprio accanto c’era il Sor Renato con la sua officina per motocicli, impagabile negli anni.
Un omone nato nel ’40 con il quale ogni mattina ci scambiavamo un saluto: “Buongiooorno!” e la risposta immancabilmente era “Da mo’ che s’è fatto giorno!”.
Noi prendemmo possesso della casa a febbraio e il 31 dicembre dello stesso anno suo figlio sedicenne, Davide, tornando a casa fu investito dall’autobus e morì lo stesso giorno.
Questo fatto tragico fece da collante.
A volte arrivavo un po’ prima o ero in anticipo e mi fermavo a chiacchierare e così venivo a conoscenza di questo o quell’aneddoto e, perché no, di qualche pettegolezzo. Si può dire che fosse un po’ il gazzettino della nostra stradina, corta, stretta e a senso unico.
Quando a casa arrivò la Sally-ina di soli due mesi noi demmo le chiavi al Sor Renato e lui verso mezzogiorno la prendeva e se la portava in officina e la metteva dentro il carrello di un’apetta.
Morì mia mamma e non so come, questo non lo riesco a ricordare, gli raccontai che mia mamma pur non credente, la domenica delle Palme dava a noi figli un rametto di ulivo benedetto di cui io portavo nel portafoglio alcune foglioline.
L’anno seguente, e da allora ogni lunedì dopo la domenica delle Palme, io trovavo sul parabrezza del motorino o della macchina un rametto di ulivo benedetto. Ed io andavo ad abbracciarlo mentre lui grande e grosso si schermiva con la voce rotta dall’emozione, ognuno di noi pensando alla propria persona cara tanto lontana da essere irraggiungibile.
Anche quest’anno ho avuto il mio rametto d’ulivo ma me lo ha dato in mano burberamente perché non era riuscito a trovare la mia macchina che con la storia dei lavori della metropolitana a volte parcheggio parecchio lontana.
Ci siamo abbracciati più a lungo e per fortuna che a ridosso la strada è chiusa a occhi indiscreti…
Lunedì la serranda è restata chiusa ed io pensato a qualche incombenza.
Oggi ci sono stati i funerali e la chiesa traboccava di corone di fiori e di persone che sono restate fuori.
Al Sor Renato tutto questo sarebbe piaciuto molto e avrebbe certo trovato una delle sue frasi irriverenti da romano verace per sdrammatizzare.
Non è necessario essere “grandi”  uomini (o donne) per essere amati e ricordati ma è sufficiente lasciare come Pollicino tante bricioline che portano al cuore di chi resta.