Corsi e ricorsi, schegge impazzite

“La guerra provò a ucciderci in primavera. Quando l’erba tingeva di verde le pianure del Ninawa e il clima si faceva più caldo, e pattugliavamo le colline basse dietro città e cittadine….Mentre dormivamo la guerra fregava a terra le sue mille costole in preghiera. Quando arrancavamo sfiniti i suoi occhi erano bianchi e spalancati nel buio. Se non mangiavamo, la guerra digiunava, nutrita dalle sue stesse privazioni. Faceva l’amore e procreava e si propagava col fuoco.
Poi, in estate, la guerra provò a ucciderci mentre il calore prosciugava dei colori le pianure.”

The Yellow Birds è la guerra vissuta e poi raccontata ‘dal di dentro’ dal giovane (reale) Kevin Powers che come molti ragazzi americani in cerca di fortuna o per senso di Patria, si arruola a diciassette anni e a diciannove viene mandato come mitragliere in Iraq da dove rientra tre anni dopo devastato dai sensi di colpa per non avere salvato quello che era diventato il suo migliore amico ma soprattutto per non essere riuscito ad attenuare la brutalità e l’orrore della guerra in Medio oriente. L’io narrante, John Bartle, si è arruolato per provare a sé stesso di essere un ‘uomo’ convinto che la sua guerra avrebbe salvato il mondo e lui sarebbe diventato un eroe. Ne ritorna straziato e fragile, un ragazzino che ha giocato alla guerra e ne è stato divorato nell’anima.

In un mondo accecato dall’odio, dal desiderio di redenzione da un lato e di sopraffazione dall’altro, c’era bisogno di un altro libro per sottolineare che ogni guerra è ingiusta e che ogni morto pesa sulla coscienza del mondo intero?
La mia risposta è sì, ricordare sempre fino alla nausea, il guaio è che la nausea non arriva mai dove dovrebbe arrivare perché la guerra è un gioco per chi pianifica le strategie e sposta pedine.
‘Esportare democrazia’ e ‘Peace keeping’ parole salvifiche per chi  ha bisogno di auto assolversi.

Mio padre morì in una ‘missione di pace’, il suo C119 venne abbattuto, era uno dei tre ‘vagoni dell’aria’ del  XIX stormo, portavano viveri e medicine per l’Onu.
Non ci furono ossa nelle bare (ed ad accoglierli niente applausi) ma dopo due settimane ricevemmo una sua cartolina e un casco di piccole banane dolcissime regalo della sua missione precedente.  Ero molto piccola per sapere o ricordare però le banane da allora non le ho più mangiate.

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