‘Dallas Buyers Club’, di cui – mi cito, abbiate pazienza – ho parlato in un precedente post, sicuramente e il film migliore tra quelli che ho visto candidati agli Oscar.
Adesso mi vedo costretta ad ammettere che questo mio giudizio vacilla dopo ‘12 years a slave’ che li bypassa tutti, incluso l’osannato Scorsese di ‘The wolf of Wall Street’, diventando nella mia personale classifica miglior film dell’anno valendosi di due interpretazioni impeccabili come quella di Micheal Fassbender, schiavista schizzofrenico preda di crisi mistiche, (splendida forma recitativa che certo non emergeva in Shame) e Lupita Ngonyo, schiava ‘oggetto’ delle foje bestiali del padrone. Purtroppo per loro non potranno vincere l’Oscar perché si dovranno misurare con due mostri sacri come Jennifer Lawrence e Jared Leto in stato di grazia suprema. Forse potrebbe farcela, invece, Chiwetel Ejiofor nella parte del protagonista.
‘12 years a slave’ (per fortuna che si comincia sempre più a mantenere il titolo originario chè molti film stranieri vengono tradotti con formule improbabili e respingenti). Un racconto crudo/crudele basato sul romanzo autobiografico di Solomon Northup, interpretato, appunto, da un bravissimo Chiwetel Ejiofor che concorrerà all’ Oscar per il miglior attore protagonista con Leo Di Caprio ‘The wolf of Wall street, e il mio favorito Matthew Mcconaughey ‘Dallas buyers club’.
Vorrei aggiungere, qui, una mia personalissima considerazione rispetto a ‘12 years a slave’. Dopo aver visto questo film credo che ognuno di noi dovrebbe interrogarsi ancora sul concetto di ‘morale’, quella che attiene a quei valori non confutabili oggi e che sono il frutto di conquiste spesso dolorosissime operate nel tempo e non sempre e non ancora universalmente riconosciuti. Nessuna analisi può essere dogmatizzata ma soltanto analizzata, perché semplicemente non può esistere una scala di valori slegata dal momento storico in cui la si decifra. L’orrore, la violenza, la sopraffazione dell’uomo sull’uomo, il tema della schiavitù viene qui riletto alla perfezione sottolineando l’ineluttabilità del ‘ruolo’ in cui, ‘bianco’ e ‘negro’ si ritrovano a misurarsi.
Solomon, nato libero cittadino nello Stato di New York (anno 1841) rapito e venduto come schiavo al Sud, improvvisamente deve fare i conti con la sua sopravvivenza di schiavo e dunque adattarsi alla bestialità del nuovo status, fingersi ignorante, non fare trapelare la sua cultura e soprattutto non lasciare trapelare di sapere leggere e scrivere.
La regia di Steve McQueen (Shame e Hunger ) con qualche lentezza, è perfetta nei silenzi e dunque inutile e fuorviante anche solo parlare di fare un paragone con Django di Tarantino, dove la spettacolarizzazione della schiavitù riconduce il film, appunto, al mo(n)do di vivere e realizzare i suoi progetti (di Tarantino!).
Che sia basato su una storia vera non importa. Nessuna morale né un finale consolatorio come ci si potrebbe aspetterebbe.
Il processo intentato da Salom Northup contro i suoi rapitori e aguzzini ha una conclusione desolante, nessun colpevole affidato alla giustizia ma una sola grande imputata: la Storia e fu proprio la ‘questione morale’ sullo schiavismo uno dei motivi scatenanti che portarono alla guerra di secessione americana e, a seguito della vittoria degli Stati dell’Unione, lo schiavismo divenne illegale in tutti gli USA, praticato ancora qualche anno clandestinamente e poco dopo definitivamente abolito.
Sappiatemi dire. Non lasciatemi sola con i miei concioni.

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